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Accadde oggi, 8 aprile

E’ il giorno in cui gli Stati Uniti prima, e il mondo poi, scoprono finalmente, fino in fondo, la potenza malvagia del virus dell’Hiv e della malattia ad esso legata, l’Aids. E’ l’8 aprile 1992 quando il più grande tennista di colore di ogni tempo, Arthur Ashe, annuncia alla stampa di aver contratto la malattia, a seguito di una trasfusione effettuata con sangue infetto alcuni anni prima, durante un’operazione effettuata a causa di un grave problema cardiaco. A quel tempo Ashe, classe 1943 si è già ritirato dopo esser stato il primo nero a vincere i trofei più importanti nel panorama mondiale, prima gli Us Open, poi gli Australian Open e infine Wimbledon, il Gotha per ogni bambino che sogna di sfondare in questo sport. Ma soprattutto ha liberato il tennis dai pregiudizi, fino ad allora considerato sport per bianchi e per facoltosi ( «E’ divertente – dirà – il colore della mia pelle non mi farebbe entrare come socio in sette su otto circoli dove gioco i miei incontri»). Da atleta verrà appunto spesso bistrattato, o alla meno peggio guardato come bizzarra meteora, ma l’annuncio pubblico del suo male sconvolge l’America, perché Arthur è sposato, non ha avuto rapporti omosessuali, non si droga, eppure ha contratto il virus.

Troppa ignoranza aleggia ancora sovrana attorno all’Aids in quell’inizio di anni ’90, e il caso di Ashe così come quello di un altro mito, Magic Johnson, il cestista dei Los Angeles Lakers che nel novembre del 1991 aveva annunciato non la sua malattia, ma la sua sieropositività, contribuiscono a sdoganare un morbo di cui si parlava sottovoce, come male dei reietti, dei diversi. Col piffero, i milioni di dollari e la celebrità non rendono immuni da alcunché, e con l’Aids non si scherza. Prima di allora il contagio attraverso il sangue era pressoché ignorato, tant’è che saranno migliaia i casi di infetti da Hiv a causa di trasfusioni. Lo shock causato dai due outing fa aprire gli occhi all’opinione pubblica e ai governanti: cominciano le massicce campagne per l’uso del preservativo e per l’attuazione di pratiche sanitarie sicure (indimenticabili le polemiche italiane legate al libricino di buone pratiche di prevenzione con protagonista l’eroe dei fumetti Lupo Alberto, destinato alle scuole italiane e bloccato dalle ultracattoliche ministre Jervolino e Garavaglia, o l’infelice frase dell’allora ministro della Sanità Carlo Donat Cattin «L’Aids se lo prende chi lo cerca»). Il mondo scopre una nuova priorità, ed oggi a 20 anni di distanza, di Aids si muore sempre meno, per lo meno nei paesi ricchi, mentre si continua a farlo nei paesi del sud del mondo. Da anni le chiese valdesi e metodiste destinano una forte quota delle donazioni dell’otto per mille proprio per sostenere progetti di prevenzione, cura, tutela legati alla piaga dell’Hiv, in Italia e nel resto del mondo, consapevoli che una corretta educazione sessuale e sanitaria possa abbattere il numero di malati e di vittime. Ashe morirà pochi mesi dopo, nel febbraio del 1993. Magic Johnson è ancora in mezzo a noi a testimoniare che di Hiv si può guarire.  

Foto: porzione di “Arthur Ashe c-00666” di National Heart, Lung, and Blood Institute – History of Medicine (NLM) http://ihm.nlm.nih.gov/images/C00666. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.