Cambiano le città: sempre più difficile trovare casa

Alcune delle più grandi città europee sono toccate da un fenomeno che crea disagio sociale: una gestione tutta finanziaria del turismo fa salire i prezzi, mentre molte unità sono vuote e i centri storici perdono identità

 

Mai più senza casa», così recita lo striscione appeso a uno dei balconi dello stabile in via Don Minzoni 12, edificio di proprietà dell’Asp di Bologna occupato dallo scorso 24 ottobre dagli attivisti del collettivo Plat (e da 50 famiglie che negli ultimi mesi sono state sfrattate dalle loro abitazioni) e dove due famiglie (con figli) sono state costrette a lasciare i loro appartamenti in affitto con intervento delle forze dell’ordine. I residenti non erano morosi. Torino, Venezia, Barcellona, Lisbona sono alcune città europee colpite dall’impatto del caro affitti: scelte di destinazione abitativa legate al turismo, a esempio, producono sfratti e emergenze abitative nuove, sono sempre di più le famiglie o i singoli individui a essere colpiti da questa piaga e a dover cercare casa nelle periferie delle città o a mettersi in attesa per le case popolari. 

 

Trovare abitazione in affitto in centro è sempre più difficile: mentre la domanda abitativa cresce, l’offerta fatica a tenere il passo. L’aumento dei canoni d’affitto, le destinazioni per accogliere turisti, la finanziarizzazione del mercato immobiliare, la “gentrificazione” trasformano vecchi edifici in unità abitative di lusso. E dunque, anche progetti abitativi nati come co-housing e con affitti calmierati sono oggi a rischio. Progetti nati per riqualificare zone prima depresse, e che invece oggi fan gola alle imprese immobiliari. E allora fioccano gli sfratti, si spopolano i centri storici urbani, e aumentano le strutture ricettive in palazzi residenziali tra affittacamere improvvisati o ben strutturati, bed&breakfast, guest house, Aparthotel, scambi case (Home Exchange), tutte esperienze che hanno cambiato la “faccia” di molte città italiane. E l’aumento dei prezzi medi degli affitti nei centri storici dal 2020 è salito vertiginosamente. 

 

E proprio a Bologna è intervenuta la vicesindaca italo-canadese (nata a Bologna) Emily Marion Clancy («Il diritto alla casa non può essere lasciato alle sole regole del mercato»), proponendo un tavolo tra Questura, Comune, associazioni di inquilini e realtà che si occupano di emergenza abitativa. «Anche la Diaconia valdese si occupa di emergenza abitativa intercettando i bisogni presenti nelle città italiane – ricorda Noemi Bertolotti, responsabile dell’Area inclusione sociale della Diaconia valdese/Commissione sinodale per la diaconia (Csd) –. Siamo partiti dapprima dai lavoratori precari, da coloro che di fatto non erano in grado di poter dare sufficienti garanzie per accedere al libero mercato degli affitti». 

 

«La nostra attività dell’housing sociale – prosegue Bertolotti – nasce nel 2018 e ha portato ad alcuni risultati importanti. Le persone, accolte nelle nostre strutture presenti sul territorio nazionale, hanno la possibilità di stabilizzare la loro situazione lavorativa e poter così offrire maggiori garanzie per accedere al mercato immobiliare. È altresì vero che spesso la situazione lavorativa non si riesce a stabilizzare e questo complica la situazione: e l’unica prospettiva possibile – difficile da ottenere ma risolutiva – è quella della casa popolare. Nel tempo le attenzioni si sono rivolte ai nuclei familiari, oggi le fasce più deboli, anche se detentrici di reddito lavorativo. In questi casi il nostro lavoro si articola in un tempo più lungo. Come tutti sanno i tempi d’attesa per una casa popolare sono lunghi».

La carenza di alloggi, l’aumento dei prezzi per gli affitti, politiche spesso speculative legate alle case sono alcuni motivi che hanno spinto la Diaconia a occuparsi di questo tema e a cercare 250 luoghi d’accoglienza oggi fruibili in diverse città italiane: «Una goccia nel mare – prosegue Bertolotti –, perché il tema dell’accesso alla casa va ben oltre le nostre disponibilità. Eppure, a guardare bene la situazione nazionale sarebbero tanti gli appartamenti disponibili, oggi sfitti, oppure ottenibili grazie ai bandi di recupero, immobili non facilmente ristrutturabili dagli enti pubblici. Malgrado tutta questa disponibilità, le graduatorie per le assegnazioni impongono liste d’attesa infinite». C’è poi, non nasconde Bertolotti, ancora una forte discriminazione abitativa: «I nuclei famigliari sono paradossalmente i più discriminati; la paura di non poter liberare una proprietà da affittuari con minori è forte. Poi, ormai, neanche i contratti lavorativi a tempo indeterminato sono considerati fonte di solvibilità, e oggi sono richieste ulteriori garanzie: garanti, fideiussioni bancarie, anche per gli affitti. Poi vi è ancora una forte ritrosia ad affittare a persone considerate straniere. Molte agenzie immobiliari esprimono un no preventivo da parte dei proprietari all’affitto per stranieri». 

 

Lavoratori precari, nuclei familiari fragili, donne sole, migranti, sono dunque le fasce più vulnerabili: «Donne con trascorsi di violenza, persone con trascorsi di detenzione o con misure alternative al carcere, poi – un fenomeno particolarmente legato a Torino, chiosa Bertolotti – gli studenti, soprattutto con background migratorio e esclusi dalle residenze universitarie per mancanza di requisiti. Per loro abbiamo avviato un piccolo housing a Torino. Tra tutte queste categorie, la maggiore emergenza rimane quella dei nuclei familiari, anche con reddito». 

 

Qualcosa è cambiato a livello burocratico: «Il recente decreto sicurezza – dice infine Bertolotti – ha introdotto alcune modifiche in materia abitativa, come per gli sfratti». In effetti, il decreto trasformato in Legge il 9 giugno 2025, n. 80, introduce nuove regole per gli affitti, con misure contro occupazioni abusive e procedure di sfratto più rapide e l’intervento automatico delle forze dell’ordine in caso di flagranza o occupazioni illegittime.