Italiano e Riforma, incontro reale e importante
Un volume collettivo e interdisciplinare sulla diffusione del pensiero di Lutero
L’appello di Lutero alla nobiltà cristiana di nazione tedesca sul rinnovamento della cristianità (1520) è un successo immediato, con settemila copie esaurite in pochi giorni; rifiuta la supremazia del potere spirituale su quello temporale e la pretesa che l’interpretazione della Scrittura debba essere prerogativa del papa, e invoca un libero concilio cristiano in terra tedesca, convocato dall’autorità secolare, per la riforma della chiesa.
Tredici anni dopo, il Libro de la emendatione et correctione dil stato christiano, anonimo, ne è la prima traduzione italiana, realizzata a Strasburgo. Lungi dall’essere una versione letterale, si tratta di una parafrasi libera, con amplificazioni e ripetizioni, che radicalizzano con tono satirico e aggressivo la denuncia contro il clero. Su questa traduzione (e sulla prima traduzione italiana in assoluto di testi luterani, Uno libretto volgare, con la dechiaratione de li dieci comandamenti, del Credo e del Pater noster, con una breve annotatione del vivere christiano, 1525: sempre diffusa anonima, o addirittura sotto il nome di Erasmo da Rotterdam) si concentra il primo intervento di un libro recente, L’italiano e la Riforma* (Pisa, Edizioni ETS, 2025), che parte da un convegno tenuto a Berna nel 2023, a cura di Giovanna Cordibella e Lorenzo Tomasin.
L’autrice, Stefania Salvadori, non è l’unica ad affrontare questi testi: anche uno dei curatori del volume, Tomasin, torna su queste riscritture luterane con una puntuale analisi della lingua, che conferma e precisa ambiti di produzione e di diffusione privilegiata; e in seguito lo fa anche Enrico Garavelli che con puntuali riscontri nega la possibile attribuzione a Lodovico Castelvetro.
Questo esempio di triangolazione evidenzia la forza maggiore di questo volume, frutto dell’incontro di competenze diverse che vanno dalla storia (religiosa, teologica, editoriale, culturale) alla lingua e alla letteratura. Si tratta quindi ovviamente di un libro di specialisti per specialisti, ma che si offre anche come possibile lettura per un pubblico più ampio, evidenziando come la Riforma, dai suoi primi decenni fino al Seicento avanzato, parlò (anche) in italiano, attraverso approfondimenti su aspetti importanti di alcuni dei principali protagonisti, una galleria di personaggi che comprende il grande predicatore cappuccino diventato pastore a Zurigo e poi censurato e espulso dalla città (Bernardino Ochino, di cui Emidio Campi analizza teologicamente il catechismo mentre Eman El Sherbiny Ismail e Annette Gerstenberg approfondiscono le strategie retoriche), il traduttore della Bibbia (Antonio Brucioli, di cui Edoardo Barbieri studia l’interpretazione dell’Apocalisse), l’inesausto ragionatore sul significato dei sacramenti (Camillo Renato, autore di un Trattato del battesimo e della santa cena qui approfondito da Cordibella), il vescovo cattolico diventato battagliero polemista protestante (Pier Paolo Vergerio, autore di moltissimi libelli analizzati da Franco Pierno).
Altri interventi presentano invece fenomeni più collettivi, che riguardano gruppi di persone meno note o del tutto anonime. Basti ricordare che la traduzione di Lutero citata prima si diffonde così profondamente nei territori veneziani dall’inizio del 1534, che il nunzio apostolico Girolamo Aleandro dice che se ne potevano trovare copie senza difficoltà in tutta la città, e che persino una pia donna si era sentita in dovere di confessarsi perché aveva ascoltato leggere il Libro de la emendatione più volte «come cosa di Orlando e con applauso degli ascoltatori». Insomma la traduzione anonima di Lutero veniva letta secondo le modalità orali e aperte di un romanzo di Boiardo o Ariosto. E nei territori di lingua italiana dei Grigioni (studiati qui da Federico Zuliani), il sermone pubblico tenuto appunto in italiano diventa così importante che per identificarsi i protestanti, definiti dai cattolici “quelli senza messa”, impiegavano la formula “quelli della predica”.
L’attenzione a questi aspetti più collettivi è quella che conduce anche più avanti cronologicamente: a esempio alla fine del Cinquecento con la ricerca di Chiara Lastraioli sui tentativi di tradurre in italiano le biografie di Lutero, Ecolampadio e Zwingli; e in pieno Seicento con l’illusorio tentativo – indagato da Stefano Villani – di indurre uno scisma a Venezia, con potenziale sviluppo in senso riformato, tramite la traduzione del Book of Common Prayer anglicano. Il libro mostra insomma come studi linguistici, letterari, retorici, teologici e archivistici in proficua alleanza possono illuminare l’incontro, ancora degno di attenzione, tra l’italiano e la Riforma.
* G. Cordibella e L. Tomasin (a c. di), L’italiano e la Riforma, Pisa, Edizioni ETS, 2025, pp. 323, euro 34,00.