La famiglia riformata mondiale tra impegno e speranza
Il racconto dell’Assemblea generale della Comunione mondiale di chiese riformate
Si è conclusa giovedì 23 ottobre la 27a Assemblea generale della Comunione mondiale di chiese riformate (WCRC). Iniziata il 14 ottobre scorso, l’assise ha avuto luogo a Chiang Mai in Thailandia, a partire dal tema «Perseverate nella vostra testimonianza», legato a un versetto della Lettera agli Ebrei: «Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta» (12, 1). La Chiesa valdese aderisce alla Comunione, e ha avuto come delegata la pastora Sophie Langeneck, che qui ripercorre temi e modalità dello svolgimento dei lavori.
La Thailandia è davvero la terra dove tutti sono gentili e sorridenti. Nel verde della giungla, in una città piena di templi buddhisti, la cui comunità cristiana maggioritaria è la Chiesa unita della Thailandia, una chiesa presbiteriana, abbiamo incontrato persone molto solerti e accoglienti. La Thailandia è un paradiso sociale per le persone LGBTQIA+ ma la Chiesa unita non è molto aperta su questi temi; a Chiang Mai c’è una comunità queer che fa riferimento alla Chiesa anglicana e parla soprattutto inglese. Insieme alle donne delle diverse chiese siamo rimaste colpite dall’’incredibile sforzo per un’emancipazione femminile nel paese. Il turismo che paga di più è senz’altro quello sessuale, con un grande numero di uomini occidentali che raggiungono la Thailandia per sfruttare donne e minori; la prostituzione è illegale ma molto tollerata. Le donne vittime di violenza che riescono a chiedere aiuto sono una percentuale irrisoria rispetto ai moltissimi casi di violenza predatoria e domestica che le donne thailandesi subiscono. Anche in questo ambito la società thailandese ha dei programmi molto sviluppati e ancora poco utilizzati dalle vittime; la Chiesa cristiana unita sembra però molto distante da questi temi, salvo offrire una piccola recita sulla figlia prodiga che dopo aver dilapidato i soldi per l’università per andare dietro ad un ragazzo, riesce a tornare a casa e a ricevere il perdono della madre e la solidale compassione della sorella, ispirata al racconto evangelico.
La domenica siamo stati ospiti di diversi culti: io sono stata a Sarn Nimitr, un villaggio nella giungla, tra Chiang Mai e Chang Rai, fondato da una missione battista per i contadini migranti delle popolazioni Lahu che arrivano dal Myanmar. Mi sono portata a casa una liturgia in Thai e un luculliano pranzo comunitario.
Avevo molte aspettative riguardo l’uso del metodo del consenso, secondo cui ci si esprime non in modo elettivo, votando a maggioranza ma esprimendo il proprio sentire su ogni argomento presentato, e ci si può esprimere con una carta di colore caldo (molto d’accordo) o di colore freddo per esprimere perplessità o dissenso sull’argomento. Le mie aspettative nella prima plenaria sono state deluse, scoprendo che tutto dipende comunque dalla capacità dell’Assemblea di essere costruttiva e argomentativa e dal riconoscere la pluralità di conoscenze, consapevolezze e sensibilità che stanno intorno allo stesso tavolo per discutere ogni argomento.
Gli argomenti di maggiore dissenso sono stati naturalmente circoscritti ma complessi nella loro discussione e in alcuni casi si è dovuto poi ricorrere alla votazione a maggioranza. Uno dei temi più discussi è stata la posizione della WCRC sul diritto all’autodeterminazione della popolazione palestinese, anche di fronte alla continuazione dell’azione militare massiccia di Israele. Delegati delle chiese centro europee si sono espressi contro un posizionamento radicale che potrebbe essere interpretato come contrario all’ebraismo, all’esistenza dello Stato di Israele di per sé, e quindi antisemita. In questa circostanza molto si è discusso sul termine “sionismo cristiano” per definire l’ideologia cristiana che difende, su presunta giustificazione biblica/teologica, il diritto di Israele di esercitare una pressione che giunga fino a causare una crisi umanitaria, per il solo diritto di prelazione sulla terra.
Altro tema a lungo dibattuto è stato il testo sulla giustizia nei confronti delle persone LGBTQIA+, e il superamento della discriminazione che avviene anche e soprattutto nelle chiese; in molte chiese della Comunione, infatti, non è permesso alle persone omosessuali di accedere al pastorato e a posizioni di leadership.
Abbiamo potuto partecipare a due momenti di celebrazione storica: un primo momento ha riguardato la pubblicazione di un corposo volume collettaneo a cura di diversi teologi e studiose di tutte le regioni della WCRC, circa la prospettiva riformata sull’anniversario del Concilio di Nicea; il secondo momento di grande importanza storica ed ecumenica è stata la confessione di peccato nei confronti della persecuzione degli Anabattisti in Svizzera cinquecento anni fa. Dopo la confessione di peccato è seguito un momento di trasformazione del peccato in rinnovamento nella fede, tramite la celebrazione della riconciliazione e di un reciproco intento alla collaborazione con l’Alleanza mondiale mennonita rappresentata dal segretario generale della Conferenza mondiale mennonita, César Garcia.
Una discussione costruttiva e molto franca, tra persone di tutte le regioni, ha riguardato anche il tema della disabilità e dell’impegno delle chiese della Comunione per l’inclusione piena delle persone disabili nella comunità locale, ridiscutendo l’adeguamento degli spazi e delle attività così come lo sforzo affinché queste persone possano accedere a ruoli di leadership nella chiesa mettendo al servizio i loro doni.
Torno a casa con il cuore colmo di gratitudine per le sorelle e i fratelli che ho potuto incontrare, per la teologia carica di speranza e di impegno per la giustizia, la pace, la riconciliazione, e con una consapevolezza nuova sul ruolo politico e profetico della chiesa di Gesù Cristo nella sua ampia famiglia riformata nel mondo. Mi porto a casa una preoccupazione per il contesto riformato centro-europeo che si sente franare la terra sotto i piedi nella sua scivolata numerica, nella prospettiva di alcune chiese che per la prima volta fanno esperienza di minoranza e, nonostante la loro forte presenza economica e gestionale nella Comunione mondiale, temono di non essere ascoltate e tenute abbastanza in considerazione. Condivido questa preoccupazione perché temo non si tratti solo di intemperie politiche del momento e neppure di baruffa tra chiese ma di una profonda ferita identitaria nel corpo dell’Europa protestante, non solo riformata.