Il mistero della sofferenza del giusto
Un giorno una parola – commento a Geremia 32, 42
Poiché così parla il Signore: “Come ho fatto venire su questo popolo un gran male, così farò venire su di lui tutto il bene che gli prometto”
Geremia 32, 42
La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione
II Corinzi 1, 7
La vita è un alternarsi di momenti difficili, spesso dolorosi, e di momenti sereni, di rado felici. Il non credente vi leggerà il gioco del tutto casuale tra “fortuna” e “sfortuna”. Il credente, se concepisce la divinità come partecipe delle vicende del mondo che ha creato, si troverà ad affrontare il difficile problema di definire il rapporto tra agire dell’uomo e agire di Dio. È un tema che attraversa l’intera Bibbia tanto in relazione alla storia del popolo ebraico quanto alle vicende più personali che nella Bibbia si raccontano.
Nella visione del profeta Geremia il male e il bene sono direttamente opera di Dio e la sventura è nel contempo punizione per il male commesso ed educazione: Dio agisce, come un padre giusto e amorevole, per quanto severo. Per la sapienza tradizionale un agire accorto e nel timore di Dio è garanzia del favore divino, di vita prospera e serena, convinzione che sarà messa in crisi dalla riflessione seguente: anche il giusto può soffrire e subire il male come avviene per Giobbe.
L’idea è che l’agire di Dio sia più libero e non sempre comprensibile per l’uomo, comunque non arbitrario o capriccioso: l’uomo deve conservare il timor di Dio e affidarsi a lui, Dio non mancherà di intervenire nei suoi modi e nei suoi tempi. La visione tradizionale, un po’ troppo semplice, se non semplicistica, è superata: Dio non può essere ingabbiato nella nostra logica e non risponde sempre ai nostri criteri di giustizia.
Nel passo dell’apostolo Paolo in II Corinzi 1, 7 possiamo individuare due idee. La prima è che le sofferenze dei credenti li rendono partecipi delle sofferenze di Cristo; la seconda è che, come per Cristo le sofferenze sono state il preludio alla consolazione e alla gloria, così sarà per i credenti uniti nella fede al suo destino.
La sventura è spesso interpretata come prova: Giobbe è messo duramente alla prova, ma non perde il timor di Dio; il credente può essere messo alla prova, prova, a cui si allude con l’immagine del fuoco usato per raffinare l’oro, fuoco della prova che, allo stesso modo, purifica il credente e rafforza la sua fede. Il mistero della sofferenza del giusto innocente continua ad inquietare la coscienza credente, ma confidiamo, da credenti, che tutto coopera al bene di quelli che amano Dio. Amen.