Una scelta di retroguardia
Le strumentalizzazioni della figura di san Francesco
Questa settimana ho ricevuto una mail da un ascoltatore che formulava questa domanda: “Caro pastore, qual è la sua opinione sull’introduzione della festività di san Francesco?”
È una decisione che mi fa tornare all’infanzia, quando, dopo i primi tre giorni di lezione dell’anno scolastico, le aule già si richiudevano e si stava a casa per la festa del 4 ottobre. Tempi gloriosi, in cui per un bambino, anche protestante, era facile amare san Francesco! Quindi, prima di tutto, è una decisione dal sapore un po’ retrò, tanto che mi aspetto tra le prossime decisioni del Parlamento il ripristino dell’inizio dell’anno scolastico al 1° ottobre.
In Parlamento la legge ha ricevuto i voti di tutti, maggioranza e minoranza. Ed in effetti, come si potrebbe essere contro San Francesco? È quasi impossibile! Mi immagino un parlamentare indeciso: ma veramente vorresti votare contro un uomo che ha sfidato la società del suo tempo vivendo in povertà nonostante il lusso di cui disponeva; che in tempo di crociate andò non a combattere, ma a parlare con il sultano; che è simbolo della salvaguardia del Creato e sta all’origine della letteratura italiana? No, no, per carità, approvo senza riserve!
San Francesco è una figura non controversa. O almeno, per me protestante, l’unica cosa controversa di san Francesco è quella di essere un santo, una figura devozionale. Ma Francesco, Francesco d’Assisi, è una figura a cui guardo con molto interesse perché si colloca all’interno dei numerosi movimenti pauperistici medievali, tra i quali i valdesi, che tuttavia ebbero accoglienza molto diversa da parte della chiesa costituita.
E allora perché, detto tutto questo, la legge votata dal Parlamento mi sembra una decisione di retroguardia? Di chi, come dice uno slogan pubblicitario, vuole vincere facile?
Per spiegarlo, facciamo un salto, e passo da Francesco a un evento che i protestanti italiani hanno cercato, in passato, di far diventare una festa nazionale, senza però alcun successo. Si tratta del XVII Febbraio, giorno in cui nel 1848 re Carlo Alberto con le Lettere Patenti concesse ai suoi sudditi valdesi le libertà civili. Pochi giorni dopo li concesse anche agli ebrei – le due minoranze storiche italiane. In quel giorno i valdesi – a cui era proibito far parte della pubblica amministrazione o frequentare le scuole del regno –, diventarono cittadini a pieno titolo, con gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri. Nell’intenzione dei protestanti italiani sarebbe dovuta diventare la Giornata nazionale della libertà di religione, di coscienza e di pensiero. Cosa che non è avvenuta.
Qualcuno però dirà: beh tu sei valdese, il XVII febbraio riguarda i valdesi; ci credo che tu ci tenga! È vero, ci tengo. Ma vorrei sottolineare due punti. Il primo è che, sebbene coinvolga delle comunità di fede, non sarebbe una festa religiosa bensì civile, perché celebra le libertà civili. Secondo, implica una precisa concezione della cittadinanza, tema che probabilmente nel Parlamento italiano, non solo quest’ultimo, risulterebbe questo sì, controverso.
E allora, in una Repubblica in cui esponenti del mondo politico mostrano una certa riluttanza a festeggiare il 25 aprile, molto meglio convergere su una figura conciliante – perché credo che alcuni parlamentari ritengano Francesco una figura conciliante, confondendo la devozione di cui è oggetto con la figura storica che conciliante non era per niente – e lasciare a un personaggio religioso l’onere di definire l’unità civile del Paese. È questo quel che non mi piace della legge sul 4 ottobre.
La rubrica «Parliamone insieme» a cura di Luca Baratto è andata in onda domenica 12 ottobre durante il «Culto evangelico», trasmissione (e rubrica del Giornale Radio) di Rai Radio1 a cura della Federazione delle chiese evangeliche
in Italia. Per il podcast e il riascolto online ci si può collegare al sito www.raiplayradio.it