Luci di speranza

Le parole dell’incontro religioso del 3 ottobre a Lampedusa per ricordare le vittime del naufragio del 2013, in cui morirono 368 persone

 

Una cerimonia partecipata, come ogni anno, quella che si è svolta il 3 ottobre a Lampedusa, per ricordare le vittime del naufragio del 2013, in cui morirono 368 persone.

 

Il momento inter religioso si è svolto presso la parrocchia dell’isola e vi hanno preso parte il pastore Peter Ciaccio, Sara Comparetti, vicepresidente della FCEI, le operatrici e i volontari di Mediterranean Hope, la coordinatrice del progetto Marta Bernardini, il direttore dell’Ufficio ecumenismo e dialogo interreligioso dell’Arcidiocesi di AgrigentoLuca Camilleri, il parroco di San Gerlando Carmelo Rizzo, l’imam Kheit Abdelhafid, vicepresidente dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia, Vito Fiorino, pescatore che salvò decine di persone nella notte del naufragio del 2013.

 

Qui di seguito pubblichiamo gli interventi dei tre rappresentanti delle confessioni religiose presenti all’evento, intitolato “Luci di speranza”.

 


 

Meditazione del pastore Peter Ciaccio (FCEI):

Sorelle e fratelli, amiche e amici, oggi siamo riuniti per fare memoria di quello che è successo qui il 3 ottobre del 2013. Concentrarci su quell’episodio non significa dimenticare gli altri, che siano legati all’immigrazione o ad altre tragedie: fare memoria non è una distrazione rispetto all’oggi, ma anzi ci aiuta a non perdere la lucidità e l’attenzione su quel che avviene oggi. Questo mare meraviglioso, fonte di vita, di cultura, luogo di incontro tra i popoli per millenni, è diventato un luogo di morte per migliaia di persone negli ultimi anni, e non ne vediamo la fine.

 

Sì, si è sempre morti in mare, da quando l’essere umano ha cominciato a solcare le acque, ci sono sempre state circostanze tragiche. Ma sappiamo che non è questo il caso. Non possiamo dare la colpa del naufragio del 3 ottobre alle intemperie. Sappiamo benissimo che la responsabilità primaria è data dalla volontà dei popoli a nord del Mediterraneo di respingere il passaggio dei popoli che vengono da sud, di respingerli a ogni costo. Un costo altissimo a livello di tasse e bilanci pubblici, di soldi che potrebbero essere spesi per un ospedale, per un giardino, per sostenere i nostri giovani. Ma questo non è niente rispetto al prezzo pagato da chi perde la vita a causa della violenza dei torturatori nei campi di detenzione in Nord Africa o della spregiudicatezza della criminalità organizzata che vende il passaggio in mare su pericolose e inadeguate bagnarole.

 

Oggi siamo in ricerca di memoria, consolazione e guida e qui cerchiamo sostegno nei grandi testi spirituali che hanno guidato i popoli del Mediterraneo. Per quanto mi riguarda, da cristiano vi propongo di riflettere su questi celebri versetti pronunciati da Gesù all’inizio del suo discorso programmatico, in cui Egli si presenta alle folle e dice in sostanza «Questo sono io, questo è quello che voglio io, questo è quello che voglio fare insieme a voi».

Le Beatitudini colpiscono nel segno perché assurde nel confronto con la realtà. Per dirne una, i poveri non sono beati nel nostro mondo: chi tra noi desidera essere povero o auspica questo per i propri figli? Ma questo è il sogno di Dio, quel che Dio vuole per l’umanità: un mondo dove non sia necessario sottomettere il prossimo per non essere sottomesso, in cui non sia necessario arricchirsi per non essere povero, in cui non sia necessario perseguitare per non essere perseguitati.

E mi vorrei soffermare «Beati i mansueti, perché erediteranno la terra». Che significa essere mansueti o miti, a seconda della traduzione? Visto che le Beatitudini presentano il mondo alla rovescia immaginato da Dio, andiamo a vedere non il significato di queste parole, ma i vocaboli a loro contrari. Secondo il dizionario i contrari di “mite” sono “bilioso, combattivo, bellicoso, battagliero, aggressivo, grintoso, impertinente, impudente, aspro”; e ancora,“violento, prepotente, autoritario, assolutista, dispotico, imperativo, intimidatorio, accanito, bestiale, brutale, inumano, crudele, crudo, feroce, caustico”.

L’impressione oggi è che essere tutte queste cose sia accettabile, addirittura auspicabile.

 

Oggi sembra che comportarsi così “paghi”. Oggi si può incitare alla violenza ed essere considerati seri candidati alle elezioni. Oggi si può esprimere il pubblico disprezzo nei confronti delle persone più in difficoltà e ricevere consenso e ammirazione. Oggi si può disprezzare pubblicamente una donna, una persona omosessuale, una persona migrante, una persona povera, ed essere generalmente stimati e apprezzati, magari come persona “autentica”, che ha il “coraggio” di dire quello che pensa.

Attenzione, però, lamentarsi dell’oggi non ha senso: il punto è prendere sul serio il discorso di Gesù: le persone miti, le persone mansuete sono beate, cioè felici perché «erediteranno la terra». Che è proprio l’obiettivo di chi è prepotente, violento e feroce, ma Gesù dice che non funziona così nella visione di Dio per l’umanità.

 

La “terra”, obiettivo di singoli e popoli in ogni angolo del pianeta: ancora una volta le parole di Gesù ci forniscono non solo una rivelazione di ciò che Dio vuole, ma anche una chiave per vivere il presente, anzi per affrontarlo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che, al di là della malvagità di alcuni, la maggior parte delle persone ha un atteggiamento aggressivo perché la vita è dura con loro: in altre parole, l’aggressività è una forma di difesa. Per questo dobbiamo annunciare al mondo l’Evangelo di Gesù: non abbiate paura a essere miti, gentili, accoglienti. Così possiamo difenderci dalla vita, così possiamo sognare di cambiarla.

Miti, non aggressivi. Mansueti, non violenti. Gentili, non feroci. Accoglienti, non respingenti. Se riusciremo tutti a cambiare, allora significherà che abbiamo fatto memoria, che il sogno di ereditare la terra, di vivere una terra nuova, di farla prosperare, sogno di chi non è più tra noi perché è in fondo al mare, in qualche maniera quel sogno può continuare a vivere in noi. Amen.

 


 

Don Carmelo Rizzo:

Poi il Signore apparve a lui. Appena prima di questo racconto vi è uno dei racconti di alleanza con Abramo, e la circoncisione di Abramo e suo figlio Ismaele (da Agar, la serva di Sara). Alle Querce di Mamre. Il posto preciso è sconosciuto, anche se diversi luoghi sono identificati dalla tradizione, tutti in zona di Hebron, in zone limitrofe con il deserto di Giuda.

Mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. L’ora calda è il momento di fermarsi.
 
[2] Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra. Abramo accoglie questi tre sconosciuti con tutto l’onore e rispetto. Solo successivamente gli sarà chiaro che è il Signore con i suoi messaggeri celesti.
 
[4-5] … lavatevi i piedi e accomodatevi … andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire. Abramo offre ai tre uomini quello che la migliore ospitalità tradizionale richiede: acqua per lavarsi i piedi (e rinfrescarli), qualcosa da mangiare, e la possibilità di riposare.
 
[6-8] Allora Abramo andò in fretta … Questi tre versetti ci raccontano tutti i preparativi: Sara prepara delle focacce, Abramo stesso prende il vitello e lo da al servo da preparare, e prende panna e latte fresco. Viene allestito un vero e proprio banchetto, con il meglio che un allevatore di bestiame possa offrire.
 
Interroghiamoci …come ci saremmo comportati noi?
Come in realtà ci comportiamo di fronte ai “viandanti” del nostro tempo?
 
[10] “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. La promessa, questa volta è indirizzata a Sara, anche se indubbiamente interessa Abramo direttamente, che ne sarà il padre. Da ricordare la storia della nascita di Ismaele, da Agar, serva di Sara (Genesi 16): lì Abramo e Sara avevano cercato di trovare loro una soluzione, secondo le consuetudini del tempo.
 
[11] Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni. Il brano vuole segnalare l’impossibilità di ciò che è promesso, anche se non dobbiamo immaginarli troppo vecchi. Se il testo parla di Abramo a novantanove anni, chiaramente questo è da leggere in modo simbolico: avrà cent’anni alla nascita di Isacco. Sara, in particolare, e chiaramente post-menopausa (era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne). Il tema della donna che non può avere figli (per età o sterilità) è ricorrente nella Bibbia, e.g. Sansone (Giudici 13,2-3), Samuele (1 Samuele 1), Giovanni Battista (Luca 1,5-25).
 
[14] “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” La domanda è chiaramente retorica. Chiaro che nulla è impossibile al Signore! Però se questo è facile dirlo in teoria, è ben più difficile viverlo come convinzione di vita.
 
[15] Allora Sara negò: “Non ho riso!”, perché aveva paura; ma egli disse: “Sì, hai proprio riso”. Se qui questo riso è letto negativamente, con un riso d’incredulità, non rimarrà così. Quando nascerà questo figlio della promessa sarà chiamato Isacco (Yitzhak), nome con il quale si può fare un gioco di parole con la radice ebraica del verbo ridere (Z-H-Q): Allora Sara disse: “Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente.
 
Il racconto apre con l’ospitalità di Abramo, che lo apre all’incontro con il Signore. Come ricorda la lettera agli Ebrei (13,2) Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo.
Sono una persona aperta agli altri?
Sono aperto ad un Dio che agisce in modo inaspettato, o cerco di ‘domesticare’ il modo di agire di Dio?
Cerco di offrire il mio meglio in quello che faccio, anche senza calcoli di ritorno?
Sara, nel racconto, è infertile e anziana.
Dov’è che, nella mia vita, mi trovo infertile e non vitale? Dov’è che la vita sembra impossibile?
Dov’è che – come Sara e Abramo con Agar – cerco di rimediare a modo mio?
C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?
Cosa significa per me credere veramente che nulla è impossibile per il Signore?
Dov’è che – come Sara – mi trovo incredulo? Forse anche stanco di aspettare che il Signore agisca?
Qual’è la preghiera impossibile nella mia vita?
Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me!
Dov’è che ho già esperienza dell’azione di Dio nella mia vita?
Dov’è che il Signore è già una fonte di gioia e letizia?
Sono una persona piena di gratitudine?
Lascio che la mi riflessione si trasformi in preghiera, in conversazione con il Signore. Di cosa vorrei rendere grazie, per cosa vorrei lodare Dio? Quale grazie vorrei chiedergli? Dov’è che ho bisogno di chiedere perdono? Parlo con il Signore come “un amico parla con un amico”.
 
Mi metto anche in ascolto. Cosa cerca di dirmi il Signore nell’intimo del mio cuore? Qual’è la sua parola per me oggi? Dove sento risonanza particolare in me con una parola del racconto letto, o della riflessione fatta?
 
Fermiamoci alla presenza del Signore in silenzio, sotto le mie Querce di Mamre. Lascio che il bisogno di parlare, di riflettere … si trasformi nel gustare lo stare in silenzio nella presenza di Dio. Un silenzio pieno, fecondo, quello degli amici o amanti, che godono dello stare nella presenza gli uni degli altri.
Un silenzio che ci trasformi…che cambi la nostra mentalità.
 

 
Imam Kheit Abdelhafid:
 

Oggi ci ritroviamo per un momento di memoria, di dolore e di responsabilità condivisa. Oggi ricordiamo la strage del 3 ottobre 2013, quando, a poca distanza da qui, persero la vita 368 persone innocenti — uomini, donne e bambini — che cercavano soltanto una possibilità di futuro. Il Mediterraneo, che dovrebbe essere mare di incontro tra popoli, troppo spesso è diventato un cimitero.

Ricordare significa non voltarsi dall’altra parte. Quelle vite non sono state spezzate solo dalle onde, ma anche dall’indifferenza e da politiche che hanno anteposto i confini e la paura alla dignità umana.

Ma non possiamo fermarci a una sola tragedia. La stessa logica di esclusione e di violenza la vediamo oggi a Gaza, dove migliaia di civili pagano il prezzo di una guerra senza fine. Denunciare quei massacri è un dovere di umanità: non possiamo accettare che la rappresaglia e la punizione collettiva diventino la normalità del nostro tempo.

E ancora, se allarghiamo lo sguardo, vediamo un mondo lacerato da oltre 60 conflitti, Guerre che producono morti, sfollati, profughi: nuove stragi invisibili di cui spesso non si parla.

Commemorare il 3 ottobre significa dire con forza Non possiamo abituarci morte nel mare e alla guerra come condizione permanente, né ridurre migranti e rifugiati a un semplice “problema”.

In questo quadro assume grande significato la solidarietà con la Global Sumud Flotilla. La parola sumud vuol dire resilienza, resistenza non violenta, determinazione a restare umani anche sotto oppressione. Quella flottiglia non è solo un gesto simbolico: è un atto concreto di fraternità, un modo per ribadire che la libertà di movimento e il diritto alla vita appartengono a tutti.

Un filo rosso lega Lampedusa 2013, Gaza oggi, i 60 conflitti nel mondo e le lotte non violente: è il filo della dignità umana. Nessuna vita vale meno di un’altra, nessuno è “clandestino”. Possiamo scegliere: dividere l’umanità in chi merita salvezza e chi può essere lasciato morire, oppure costruire un mondo in cui la solidarietà non sia un gesto passeggero, ma un impegno quotidiano.

Commemorare, allora, è prima di tutto un atto umano. È scegliere la pace, aprire porti e cuori, trasformare il lutto in responsabilità.

Concludo con un invito: che il 3 ottobre non resti solo un giorno di dolore, ma diventi un giorno di coscienza, capace di spingerci a costruire un futuro diverso, fondato sulla giustizia e sulla pace. Perché la memoria, se resta viva, può davvero diventare radice di speranza.

Preghiera

O Allah, Signore del cielo e della terra, Creatore di tutte le cose visibili e invisibili, noi ti preghiamo oggi per le anime di coloro che sono morti nel mare, cercando una vita migliore per sé e per le loro famiglie. Tu sei il più sapiente e conosci il dolore che hanno subito.

O Allah, accogli i loro spiriti tra i giusti e concedi loro il Tuo perdono e la Tua misericordia infinita. Fa’ che trovino pace presso di Te, e che il loro sacrificio non sia dimenticato sulla terra.

O Allah, proteggi coloro che ancora intraprendono questi viaggi pericolosi. Guida le loro imbarcazioni in sicurezza e concedi loro un porto sicuro dove possano vivere in dignità e pace. Noi ti chiediamo di alleviare le sofferenze di chi è costretto a fuggire dalla propria terra, e di aprire i nostri cuori e le nostre porte a coloro che cercano rifugio.

Fa’ che noi, come comunità, non rimaniamo indifferenti davanti a queste tragedie, ma che possiamo essere strumenti della Tua misericordia e giustizia. Rendici capaci di agire con compassione, di parlare per i senza voce e di offrire sostegno a chi soffre.

O Allah, ispira i governanti del mondo a cercare soluzioni giuste e umane, affinché nessuno debba più rischiare la propria vita per cercare sicurezza e speranza. Guida le nostre azioni e i nostri cuori affinché possiamo essere un faro di luce per chi è perso nel buio della disperazione.

O Allah, a Te ci affidiamo, Tu sei il Protettore dei deboli, il Guaritore delle ferite e il Rifugio di chi non ha più un riparo. Concedi a noi saggezza e pazienza, e fa’ che il nostro mondo diventi un luogo di pace per tutti.

  1. In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso.
  2. La lode [appartiene] ad Allah , Signore dei mondi ,
  3. il Compassionevole, il Misericordioso,
  4. Re del Giorno del Giudizio .
  5. Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto .
  6. Guidaci sulla retta via
  7. la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né degli sviati