La “stranierità” di una scrittrice dalle molte patrie
A Torino, un convegno nel centenario dalla nascita di Marina Jarre, organizzato da Istoreto, Società di Studi valdesi e Polo del ’900
Una scrittrice “fuori dai canoni”, è stato detto: appartata, mai “di moda”, anche se avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere un’autrice di successo. Lo ha ricordato Paolo Borgna (Istoreto) aprendo il convegno organizzato al Polo del ’900 di Torino martedì 24 settembre, per i 100 anni dalla nascita di Marina Jarre. Scrittrice (e donna) «in direzione ostinata e contraria», scelta azzeccata del figlio Andrea come titolo della giornata, dalla Smisurata preghiera di Fabrizio De Andrè.
Un’espressione che ne ricorda il rapporto con le minoranze, senza mai rinchiudersi in esse, la sua “stranierità”, termine coniato dallo scrittore e giornalista Gian Luca Favetto, che riassume le altre tre parole chiave da lui scelte: esilio (Jarre ha vissuto molte vite in esilio, tra lingue, culture, religioni), il rammendare della sua scrittura, una questione (anche) di cicatrici e la centralità della Storia. Quest’ultima, citata spesso, intrecciata con le vicende personali, a volte “corale”, e tratteggiata con sguardo «che non si accontenta della prima versione», ma opera una «critica letteraria della memoria», come ha sottolineato Marta Barone, curatrice della nuova edizione per Bompiani, che pochi giorni prima (nell’intervista su riforma.it) ci ricordava «il suo sguardo estremamente lucido su alcuni avvenimenti storici, come lo sterminio degli ebrei con la complicità dei lettoni, le responsabilità personali, con un’impressionante capacità di analisi: un valore che andrebbe riproposto in un mondo come quello di oggi, in cui sembra che la Storia sia cominciata la settimana prima».
Un accurato bilanciamento tra testimonianze e approfondimento, con interventi numerosi (ben 14 quelli previsti) ma di lunghezza contenuta, ha reso la giornata scorrevole e assai interessante, efficace stimolo alla (ri)lettura: numerose le opere ricordate, anche attraverso letture (Favetto), Negli occhi di una ragazza, Il silenzio di Mosca, Ritorno in Lettonia, e naturalmente la “trilogia valdese” di Ascanio e Margherita, Neve in val d’Angrogna e Cattolici sì, ma nuovi, senza dimenticare la produzione per i più giovani (come La guerra degli altri citata dal giornalista Piero Bianucci).
Alcune relazioni hanno indagato aspetti centrali di questa produzione. Della sua collocazione (o meno) in senso femminile/femminista ha parlato Gianna Cannì, studiosa di scritture femminili: di solito non viene letta con questa connotazione, ma occorre perlomeno porsi la domanda, in che modo un’identità corporea connotata sessualmente influisce sulla scrittura?
Di ellissi, pause, vuoti e reticenze, ha parlato invece il prof. Davide Dalmas, rievocando i salti temporali, gli «andirivieni memoriali», una costruzione narrativa non lineare, che svela progressivamente (e non tutto): «vagabondaggi in apparenza devianti» (Ritorno in Lettonia) che le venivano talvolta rimproverati, ma che rivendicava come cifra del suo stile. Diversi relatori hanno evidenziato la «provvisorietà della scrittura» (dichiarata dalla stessa Jarre), un dialogo mai definitivo tra pensiero e linguaggio, che nasceva anche dalle multiformi radici della scrittrice (religiose, culturali, nazionali…).
Nelle testimonianze personali, che con affetto hanno rievocato l’acume talvolta tagliente, ma accompagnato alla pietas, sono state ricordate le ricerche comuni nell’archivio storico valdese (la storica Maria Rosa Fabbrini, con cui condivise la passione per la ricerca), l’avventura teatrale di Ascanio e Margherita, diventato Fuochi (il regista Renzo Sicco, già suo allievo a scuola), le riprese in Lettonia del documentario Alle soglie della sera (Daniele Gaglianone e Paola Olivetti, Archivio nazionale cinematografico della Resistenza), un vero e proprio viaggio nel passato, anche doloroso (sebbene meno traumatico del primo ritorno con il figlio), da cui emerge un’ironia acuta e intelligente, così come negli stralci di lettere citati da Fabbrini e dallo storico Alberto Cavaglion.
L’intervento più “filiale” è stato quello dello storico Massimo L. Salvadori, che con il suo racconto commosso ha rievocato la figura di una “seconda madre”, più grande di lui di soli 11 anni, e gli intrecci anche letterari nelle loro vite: lui, “promotore” della pubblicazione delle prime due opere di Jarre, Il tranviere impazzito e Monumento al parallelo. Lei, sostenitrice della pubblicazione dell’autobiografico Cinque minuti prima delle 9 (Claudiana), altro interessante suggerimento di ri-lettura.
Gli interventi di due dei figli di Marina (Andrea e Pietro), sono stati invece “metodologici” e hanno inquadrato due aspetti importanti, le traduzioni e i contenuti del fondo donato all’archivio dell’Istoreto: lettere, manoscritti, appunti, opere edite e inedite, recensioni. Tutti i materiali cartacei sono stati digitalizzati e viceversa, creando una vera miniera per approfondire non solo la figura di Marina Jarre, ma anche la sua famiglia: il marito Gianni Jarre, la madre, la sorella.
Infatti, come ha ben messo in evidenza l’intervento di Barbara Berruti, direttrice dell’Istoreto, la madre Clara Coïsson e la sorella Annalisa Gersoni, molto attive nel periodo della Resistenza, sono figure di notevole interesse: l’augurio è che possano nascere nuove ricerche anche in questa direzione. Di certo, come annunciato al convegno, l’archivio ha già cominciato a essere scandagliato da una studentessa per la propria tesi su Marina Jarre.
Concludiamo sul tema delle traduzioni, foriero di ricchissimi stimoli, come restituito efficacemente da Andrea Jarre. Forse non tutti sanno che madre e figlia sono state entrambe traduttrici (le traduzioni di Clara dal russo sono tutt’ora ristampate, a dimostrarne l’efficacia), e le opere di Marina sono state tradotte in varie lingue: dopo la sua scomparsa, i figli hanno proseguito nella supervisione delle nuove traduzioni. Un viaggio appassionante, non facile, alla ricerca del modo migliore per rendere caratteristiche stilistiche, l’ironia, la schiettezza a volte rude, e, al tempo stesso, il lirismo e la gentilezza. I figli hanno confessato di avere scoperto molto attraverso questo lavoro, della madre e della scrittrice: anche noi lettori potremmo fare altrettanto (ri)prendendo in mano le sue opere.