Agape, un laboratorio teologico, una comunità di fede

Un testo proposto dai partecipanti al campo internazionale che si è svolto nello scorso agosto

 

 

La teologia è viva e in continua trasformazione. Non è un’affermazione scontata. Se la si immagina, infatti, come una disciplina che, sistematica, struttura il pensiero della fede, i suoi fondamenti e i suoi comportamenti, che difende le posizioni e le identità, che si insegna nelle università, allora la teologia si potrebbe immaginare come il difficile esercizio di dire una fede che poi nella quotidianità dice tutt’altro.

Così intesa, la teologia può essere percepita come qualcosa che viene organizzato dall’“alto” per il “basso”, creando (anche volendola superare) una gerarchia che impone alle chiese il pensiero normativo da pensare riguardo alla fede. Al contrario, se la teologia la si intende come una parola della comunità sul divino, come parola pensata di una comunità di fede riunita dalla chiamata imperscrutabile e creativa del divino, allora la teologia diventa parola dinamica, creatrice di espressività sempre nuove e riformate, mai stanca, mai desueta, autoregolativa (ma non autoreferenziale) e sempre sorprendente. Ebbene, ad Agape c’è una comunità in cammino che fa una teologia di questo ultimo tipo, una teologia vitale e costruttiva.

 

Ora, il punto non è se questa teologia “agapina” sia ortodossa, gradevole, moderata: forse non è nessuna di queste cose (o forse sì), ma poco importa. Perché Agape è un laboratorio teologico alla ricerca di riforma. E la riforma, intesa come un atto radicale ed eversivo, è anche – forse – talvolta fastidiosa e sgradevole. Agape è un luogo di sperimentazione della fede, nel doppio senso di laboratorio teorico libero e aperto e luogo di sperimentazione di forme di vita inedite (o, un tempo perdute, riedite). Ne è testimonianza l’ultimo campo teologico internazionale che lì si è riunito a metà agosto.

 

Quella che segue non è semplicemente una relazione sul campo teologico, ma un tentativo di spiegare in che senso Agape sia un luogo da guardare con sempre maggiore interesse da parte delle chiese e della società, un luogo da vivere e di cui riappropriarsi. Per fare questo partirò dalla fine, cioè dalla sintesi dell’esperienza teologica che le persone che vi hanno partecipato – costruendone l’esperienza – hanno prodotto: il Credo.

 

Multiforme divinità d’amore, da qui, in questo luogo di incontro e di dialogo, ti confessiamo il nostro credo. Ti cerchiamo e ti sentiamo nella luna e nel cielo stellato, nello slancio degli alberi e nelle radici nella terra, ti ritroviamo nella terra arida e sabbiosa, nelle foreste rigogliose e nei deserti sterminati, nello scorrere dell’acqua e nella connessione di tutti gli esseri viventi. Confessiamo di essere a tua immagine e somiglianza, noi persone trans, gay e lesbiche, bisessuali, queer, noi persone freak, migranti, disabili. Noi diversə, emozionatə, desiderantə, meravigliosə amiamo essere oggetto del tuo desiderio. Divinità della sensibilità e della fragilità, al di fuori delle rigidità in cui ti vogliamo intrappolare, che ti rimetti in questione con noi, trasformandoti così come ci trasformiamo. Divinità che abita nei nostri cuori, che li allarga, che ci sta vicino sempre, anche nei momenti in cui ci sentiamo più solə. Divinità comunitaria, che cammini con noi e che fai di noi movimento e relazioni. Tu, che gridi con la nostra voce, denunciando il sistema di oppressione, morte e odio che colonizza il nostro tempo, ci spingi a confessare una chiesa profetica che sta dalla parte di chi resiste e soffre, a fianco dei popoli che gridano per la libertà di esistere. Ti confessiamo divinità che ascolti la nostra rabbia, che si commuove e piange di fronte alle ingiustizie e al dolore, che balla e celebra con noi la fine dell’oppressione. Tu che cammini con le nostre gambe nel nostro impegno quotidiano, nella difesa della vita e dell’amore in tutte le sue forme, nella creazione di un mondo di vita buona e abbondante per tuttə.

 

[N.B.: il segno inusuale “ə” (schwa) alla fine di alcune parole esprime il superamento del maschile sovraesteso, nonché il tentativo di rendere, quanto al genere, la parola scritta più inclusiva e non binaria. Anche la scelta dell’utilizzo dell’espressione divinità va nella stessa direzione – anche se non esclusivamente –, nel tentativo di superare l’attribuzione al divino di un qualunque genere].

 

Se i temi ufficiali, pensati da una staff operosa, attenta e premurosa, sono stati il servizio, la diaconia e la missione, e attività pratiche, discussioni teoriche e testimonianze hanno scandito i giorni del campo, uno spirito “anarchico” soffiava sulle persone, un desiderio di andare al di là dei temi proposti, nel tentativo di comprenderli insieme in modo creativo. La vita in Colombia, a Cuba, in India, in Sud Africa, in Uruguay, in Argentina, in Palestina, in Siria, in Italia è diventata la vita di Agape. Così, le persone, nel confronto costante e acceso sono diventate presto una comunità, esprimendosi insieme nella molteplicità della confessione credente nella divinità essa stessa molteplice.

 

L’ultimo campo teologico è stato questo: l’apertura (o riapertura) di una strada “eretica” a una fede che cerca amore, che vive amore. Questa espressione teologica e comunitaria continuerà anche nel prossimo Weekend teologico (ad Agape dal 7 al 9 novembre 2025) nel quale si discuterà di Bibbia e/è politica. Speriamo siano in molte e molti a parteciparvi, per sperimentare ciò che a parole si può solo tratteggiare.