Le sfide ecumeniche di oggi
L’ esperienza di guida del Segretariato attività ecumeniche nelle parole di Erica Sfredda, presidente per quattro anni. L’importanza del dialogo fra confessioni e fedi diverse, come antidoto allo spirito della guerra
Erica Sfredda, predicatrice locale per l’Unione delle chiese metodiste e valdesi, è stata per quattro anni alla guida del Sae, il Segretariato attività ecumeniche, prima evangelica a presiedere l’associazione interconfessionale che promuove il dialogo ecumenico ed interreligioso.
Il mandato scade a fine anno, e intanto, entro i primi giorni di ottobre, verranno scrutinate le schede degli aventi diritto al voto e verrà dunque eletto un nuovo presidente.
Sfredda, partiamo dalla sua elezione, una novità per un organismo certamente ecumenico, ma nato in ambito cattolico.
«Credo si sia trattata di una prova di maturità da parte degli associati perché un conto è essere interconfessionali, essere plurali, ma ancora differente è accettare di essere presieduti da “qualcun altro”. Credo che all’inizio, nonostante i molti voti ricevuti, qualche turbamento ci sia stato, ma tutto si è tranquillizzato in fretta ed è stata per me una esperienza molto bella e molto istruttiva. Ho avuto modo di avvicinarmi molto alle altre chiese ed ho potuto così fare scoperte molto interessanti che certamente mi hanno arricchita».
Un ecumenismo il suo, lo ha ricordato anche in un intervento al recente Sinodo valdese e metodista, vissuto fin da bambina.
«Il mio papà era metodista e mia mamma valdese, ecumenici fra loro, sposati coi due pastori in anni in cui non vi erano simili consuetudini. Sono stati inoltre molto aperti nei confronti del Cattolicesimo, fin dai tempi del Concilio Vaticano II. Grazie a loro, ancora ragazza sono approdata al Sae che allora faceva i suoi incontri al Passo della Mendola. Un’ esperienza di dialogo e incontro che per me è stata importantissima».
Veniamo a questi quattro anni intensi anni. Cosa le hanno lasciato?
«Serve tempo e fatica per tentare di trovare sempre un punto di incontro che non sia ipocrita, sincretista, ma che nasca invece dalla condivisione di intenti comuni. Non è un esercizio sempre facilissimo, ma io, ed anche tutto il gruppo di lavoro che con me ha operato, ci abbiamo creduto molto. Il primo sforzo ecumenico da compiere era al nostro interno e poi con il mondo cristiano italiano, dove la componente cattolica è ovviamente preponderante. Quando c’è un tale squilibrio di forze a volte, anche inconsapevolmente, il più forte mette in atto azioni, o ne dà per scontate altre. È difficile insomma mettersi nelle scarpe degli altri, e credo che questa mia presidenza sia servita anche a questo.
Mi porto anche dietro dei bellissimi doni: la grande ricchezza di persone conosciute per lavorarci e pregarci e cantarci insieme, una ricchezza straordinaria, e l’accoglienza che abbiamo ricevuto noi valdesi dal cattolicesimo anche istituzionale, penso a don Olivero, a don Savina. Una accoglienza vera, concreta, significativa per noi minoranza».
Il Sae si definisce promotore di ecumenismo e di confronto a partire dal dialogo ebraico-cristiano. Le radici sono in questo incontro. Quanto è cambiato dopo il 7 ottobre 2023?
«Maria Vingiani, fondatrice del Sae, è stata uno dei tramiti fondamentali fra ebraismo e cristianesimo, cattolicesimo in particolare, in Italia. Il documento “Nostra Aetate” nato in seno al Concilio Vaticano II e di cui quest’anno si celebrano i 60 anni, e che per la prima volta esclude la responsabilità collettiva di Israele per la morte di Cristo e condanna l’antisemitismo, negandone ogni appiglio teologico, ha potuto vedere la luce anche grazie all’incontro fra l’allora papa Giovanni XXIII e lo storico ebreo francese Jules Isaac. Incontro che Vingiani fece in modo che avvenisse a tutti i costi, superando non poche resistenze. Sempre grazie a lei venne istituita nel 1989 dalla Conferenza episcopale italiana la giornata per l’approfondimento e il dialogo con l’ebraismo, fissandola al 17 gennaio di ogni anno, proprio come introduzione all’ormai tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio). I rapporti del Sae con il mondo ebraico sono dunque molto stretti. La tragedia in corso in Medio Oriente non ha incrinato i rapporti, ci siamo sentiti tutte e tutti coinvolti in quanto accade. Le collette degli ulti due anni durante la tradizionale sessione di formazione estiva sono andate ai progetti di pace promossi anche dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia che ruotano attorno al villaggio di Neve Shalom in Palestina, baluardo di convivenza fra i popoli. Quest’anno abbiamo voluto approfondire i ragionamenti senza voler entrare nel gioco degli schieramenti, ma abbiamo tentato di sostenere la terza via, quella della pace, del dialogo, del confronto. Anche per questo abbiamo invitato due persone coinvolte nel dramma, l’imam palestinese Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, Unione comunità islamiche italiane, e la storica Anna Foa».
Anche nel conflitto medio orientale, ma non è l’unico caso, le religioni vengono strumentalizzate, piegate a interessi di parte. Un organismo di dialogo religioso come il Sae ha un compito gravoso e importante nello smontare certe narrazioni.
«Quello dell’uso distorto delle religioni è un dibattito aperto. A differenza di chi dice che è insito nelle religioni la spinta all’assolutismo, noi riteniamo che questa lettura sia un peccato umano. Per restare alla tre grandi religioni monoteistiche, cristianesimo, ebraismo, islamismo, non esistono messaggi che ci chiamano alla guerra. Pensiamo però che i testi vadano conosciuti a fondo perché è facile equivocare, e soprattutto manipolare, trascinare le persone dietro un Dio che ci viene detto essere dalla nostra parte. Di fatto le religioni sono state spesso strumenti nelle guerre di colonizzazione, complici di orrori e malefatte, ma riteniamo che la colpa di tali azioni non risieda nelle religioni, ma nella grettezza umana che ha piegato anche le religioni a scopi personali».
L’ultima sessione di formazione con la Sua presidenza ha avuto come centro Nicea, a 1700 dal grande concilio del 325. Una chiusura di un mandato con un tema fortemente ecumenico dunque.
«L’ecumenismo secondo me, secondo noi, ha un ruolo oggi nel cristianesimo importantissimo, nel senso che ci sono alcune sfide che il mondo attuale affronta e che le chiese separate non sono in grado di affrontare, a partire dalla grandissima disaffezione nei confronti della spiritualità. La società attuale lascia molto da parte la vita spirituale. Le tre confessioni cristiane in questo possono avere una parte importante ma non separatamente, insieme per cercare di restituire la vita spirituale a persone che l’hanno smarrita. Le grandi sfide del mondo di oggi, etiche, morali, credo vadano affrontate con l’aspirazione a fornire una risposta comune. Questo ci chiede il Signore».
Foto di Laura Caffagnini