Welfare in Toscana: una nuova rotta

Tra crisi del welfare e riforme regionali, l’impegno della Diaconia valdese nell’ottica della teologia pubblica

 

Il welfare toscano sta attraversando una profonda trasformazione. Con l’approvazione del «Patto per il Welfare», avvenuta lo scorso luglio con delibera di Giunta, la Regione Toscana non solo ha stanziato importanti risorse, ma ha ridefinito il suo ruolo da erogatore a programmatore strategico. Questa nuova visione si fonda su un’alleanza con i sindacati e il Terzo Settore, di cui fa parte anche la Diaconia valdese.

 

Un’alleanza politica per un modello sociale. Il «Patto per il Welfare in Toscana» non è un semplice accordo tecnico, ma un’alleanza strategica sottoscritta dalla Regione, le principali organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil), le centrali cooperative, la Diaconia valdese e una significativa rappresentanza del Terzo Settore.

 

Nato per rispondere alle criticità del sistema socio-sanitario, il Patto si fonda su tre principi politici riaffermati con forza:

 

1: un modello di welfare universale e inclusivo, che mira a contrastare attivamente le disuguaglianze sociali e territoriali.

2: il legame indissolubile tra la qualità del servizio e la qualità del lavoro. Quest’ultima deve essere garantita da un adeguato riconoscimento contrattuale per gli operatori, anche attraverso l’adeguamento delle rette in seguito al rinnovo dei contratti.

3: Infine, una governance a forte regia pubblica, che non sceglie la via della privatizzazione ma valorizza una partnership strategica con sindacati e Terzo Settore, coinvolgendoli attivamente.

In sostanza, il Patto riconosce il Terzo Settore non come un mero esecutore di servizi, ma come un attore politico fondamentale nella programmazione e nella costruzione del benessere collettivo.

 

Dai principi all’Azione. La visione del Patto si è tradotta in una prima azione concreta con una ulteriore delibera che ridefinisce il ruolo e l’offerta delle Rsa. L’obiettivo è trasformare queste strutture da “ultima spiaggia” a nodi attivi della rete territoriale. I punti principali:

 

– Programmazione basata sul fabbisogno: lo sviluppo di nuove Rsa sarà strettamente legato a un’analisi reale delle necessità dei territori.

– Riorganizzazione dei Moduli specialistici: i moduli per bisogni complessi, come quelli per persone con demenza, saranno riorganizzati con requisiti specifici e liste d’accesso separate per offrire una risposta mirata.

– Un’alleanza con il territorio: una novità significativa è l’idea della Rsa come “centro servizi” aperto alla comunità, in grado di offrire prestazioni (pasti, lavanderia, socializzazione) a chi vive a casa, sostenendo le famiglie e ritardando l’istituzionalizzazione.

 

In questi punti, molti riconosceranno le questioni già affrontate dalla Legge 33/2023 sulla non autosufficienza, riforma che non solo è stata bloccata nella sua attuazione, ma anche svuotata. di molti dei suoi principi fondamentali. Il percorso avviato in Toscana si allinea perfettamente alla riflessione diaconale. La spinta innovativa della Toscana, co-progettata con attori come la Diaconia, rappresenta un modello promettente, un laboratorio da cui potrebbero nascere soluzioni valide per l’intero sistema nazionale.

Teologia pubblica in azione: testimoniare pensando. L’impegno della Diaconia nell’influenzare e co-progettare le politiche sociali toscane non è semplicemente “buona prassi” o filantropia. È, piuttosto, l’espressione di ciò che oggi, nelle chiese, è spesso Teologia pubblica. Non si tratta di una sotto-disciplina per addetti ai lavori, ma di una postura fondamentale del credere. La teologia, infatti, è un discepolato cristiano nella forma del pensiero riflesso, che nasce dalla vita della chiesa per testimoniare nella storia.

 

In quest’ottica, la Teologia pubblica, come propone U. Körtner [v. Teologia pubblica e diaconia, Claudiana, 2024, ndr] è la riflessione critica sull’operare e gli effetti del cristianesimo nella società. Essa non si limita a produrre documenti, ma si interroga su come le posizioni della fede possano essere comunicate pubblicamente in modo credibile. La Diaconia diventa così un luogo e attore di teologia pubblica, è lo spazio concreto in cui la testimonianza della chiesa si rende visibile e dove si impara ad agire e a parlare in un mondo plurale.

 

Questa azione di confine pone la sfida del cosiddetto “bilinguismo”: la necessità di tradurre il linguaggio della fede in un discorso universalmente comprensibile, senza tradirne il nucleo. È un compito cruciale per un’organizzazione diaconale, dove personale di diverse provenienze culturali e religiose collabora ogni giorno con istituzioni laiche. L’obiettivo non è imporre una visione, ma partecipare al discorso comune su giustizia, dignità e inclusione.

 

Le riforme in Toscana offrono un terreno fertile per questa testimonianza incarnata. La Diaconia valdese ha aperto una riflessione analoga anche in Piemonte, in un terreno di maggiore difficoltà: siamo comunque fiduciosi. Se la fede non è un rifugio individualistico, ma un mandato all’interazione con il mondo, allora le nuove politiche del welfare toscano sono un invito esplicito a questa interazione. È l’occasione per la chiesa di essere presente, con competenza e spirito di servizio, nella costruzione di una comunità che cura, incarnando quell’Evangelo della grazia che si manifesta in un “servizio umile e liberante”.