Stati Uniti: serve un’alternativa alla “cristianità conflittuale”
Una riflessione sulla violenza armata dopo l’uccisione di Charlie Kirk
Lo scorso giugno ho contribuito con un articolo a Riforma, offrendo una prospettiva cristiana americana sugli sviluppi politici negli Stati Uniti. In quella settimana si erano susseguiti fatti drammatici: l’accelerazione degli arresti di immigrati senza documenti, le proteste a Los Angeles contro la stretta sull’immigrazione, e persino assassinii politici che avevano colpito parlamentari e le loro famiglie in Minnesota. L’articolo si intitolava «Costruire comunità in una nazione lacerata». A tre mesi di distanza, le lacerazioni della nazione sembrano essersi soltanto aggravate.
Il 10 settembre, Charlie Kirk – attivista politico conservatore statunitense di 31 anni – è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre parlava a un evento organizzato da Turning Point USA, la sua associazione di attivismo politico giovanile conservatore, presso il campus della Utah Valley University a Orem, Utah. Al momento in cui scrivo, si sa ancora poco sull’attentatore e sulle sue motivazioni.
Di Kirk, invece, si sa molto. A soli 18 anni fondò Turning Point USA per coinvolgere i giovani nel movimento conservatore, in un contesto segnato dalla presidenza di Barack Obama. Nel 2016 guidò l’organizzazione nel lancio della Professor Watchlist, un sito web che invitava gli studenti a “denunciare e documentare” i docenti accusati di discriminare gli studenti conservatori, promuovere valori “anti-americani” o diffondere “propaganda di sinistra” in aula. Nel 2019 creò Turning Point Action per mobilitare i giovani elettori a sostegno di specifici candidati conservatori, e nel 2021 fondò Turning Point Faith con l’obiettivo di coinvolgere pastori e leader ecclesiastici in un attivismo politico conservatore volto a “eliminare dal pulpito americano il wokismo” «termine usato, spesso in senso polemico, per indicare l’attivismo progressivo su diritti e inclusione, ndr].
Durante la prima fase della pandemia di Covid-19 incoraggiò gli studenti a disobbedire agli ordini dei governatori statali in materia di salute pubblica. Alla vigilia della certificazione congressuale delle elezioni presidenziali del 2020, il 6 gennaio 2021, organizzò autobus per portare studenti al raduno Stop the Steal a Washington (pur ammettendo poi che non fosse stato saggio entrare nel Campidoglio). Viene inoltre accreditato di aver contribuito a spostare una percentuale più alta di giovani elettori verso Donald Trump nelle elezioni del 2024 rispetto al 2016 e al 2020.
Questi elementi spingono alcuni cristiani americani, alla luce della sua morte, a lodarne la vita e l’influenza; altri invece a denunciare l’omicidio e ogni celebrazione di esso, pur sottolineando quelli che ritengono effetti negativi di Kirk sulla vita civile americana e sul rapporto della chiesa con essa.
Io mi colloco in questa seconda categoria. Come professore, considero l’invito di Kirk agli studenti a “smascherare” i propri docenti un attacco alla libertà accademica, essenziale per l’istruzione superiore. Come battista, erede di una tradizione storicamente contraria a ogni forma di religione di Stato, mi oppongo al nazionalismo cristiano promosso da Kirk e dal suo movimento. Come ministro che ha partecipato insieme a mia moglie – anch’essa pastora – e ad altri membri della nostra comunità alle manifestazioni Black Lives Matter, trovo del tutto sbagliata la sua affermazione secondo cui i ministri che incoraggiavano la partecipazione a quelle proteste stavano “introducendo uno spirito impuro di Satana nella chiesa”.
Eppure, non posso ignorare il fascino che Kirk esercitava su molti giovani cristiani conservatori americani. Meno di due ore prima che fosse ucciso, raccontavo a un collega – durante il pranzo – un episodio avvenuto in una mia lezione di filosofia. Dopo un modulo sulla filosofia asiatica antica, avevo chiesto agli studenti di indicare esempi contemporanei di “saggi” filosofici. Una studentessa brillante e articolata aveva citato proprio Kirk. Confessai al mio collega che stavo ancora riflettendo su quella risposta.
Credo che, dopo la morte di Kirk, la chiesa americana debba offrire a quella studentessa e ad altri giovani cristiani un’opposizione chiara non solo alla violenza politica che lo ha ucciso, ma a ogni forma di violenza, che contraddice l’intenzione di Dio per il nostro mondo. Ma per farlo, occorre anche opporsi all’“intronizzazione” di Kirk come un martire santo nell’immaginario popolare cristiano americano. La sua violenza verbale contro intere categorie razziali, di genere, religiose e politiche – documentata in un articolo del Baptist News Global dell’11 settembre intitolato «Charlie Kirk nelle sue stesse parole» – dovrebbe essere più che sufficiente a impedirne una canonizzazione non ufficiale. (Scrivo questo consapevole di un certo rischio: il Washington Post ha riportato che alcuni funzionari dell’amministrazione Trump avrebbero proposto una campagna per «denunciare insegnanti e docenti universitari che hanno espresso critiche a Kirk dopo la sua morte»).
Ma non basta criticare. Occorre offrire ai giovani cristiani americani un’alternativa alla “cristianità conflittuale” e ai toni provocatori dei dibattiti universitari di Kirk, che spesso sfociavano in slogan come “Prove Me Wrong” (Dimostratemi che ho torto). Dobbiamo invece proporre l’umile invito a seguire la via insegnata e vissuta da Gesù Cristo, cercando di incarnarla noi stessi.
Steven Harmon, pastore battista, è professore di Teologia storica presso la Gardner-Webb University School of Divinity, a Boiling Springs (Carolina del Nord, Usa)