«Eravamo tutti stranieri in questa terra»

Rispetto, onestà e umiltà, i tre pilastri secondo la vescova Mariann Budde nel servizio di preghiera per la nazione dopo l’insediamento del presidente Usa: l’appello diretto al presidente ha suscitato reazioni infuocate

I nomi della vescova della diocesi episcopale di Washington, Mariann Budde, e del presidente Donald Trump si erano già incrociati nel giugno di cinque anni fa, in occasione delle proteste seguite all’uccisione di George Floyd, quando Trump si era fatto fotografare davanti alla chiesa di St.John con la Bibbia in mano (ne avevamo parlato qui).

In quell’occasione la vescova aveva espresso indignazione perché «il presidente ha appena usato una Bibbia e una delle chiese della mia diocesi come sfondo per un messaggio antitetico agli insegnamenti di Gesù e a tutto ciò che rappresenta la nostra chiesa».

 

Il presidente autoproclamatosi “scelto da Dio” è tornato, ed è toccato a lei, prima vescova della Chiesa episcopale, celebrare il 21 gennaio la funzione successiva all’insediamento, il Service of prayer for the Nation (la si può rivedere qui) tenutasi alla National Cathedral di Washington. Una cerimonia grandiosa, ricca di musiche di vario genere e in cui sono intervenuti rappresentanti delle diverse religioni, tra cui ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, indù, sikh, a cui sono stati affidati i momenti di preghiera.

La cattedrale aveva già ospitato altre 10 cerimonie inaugurali, con presidenti di diversi partiti, ma questa, la cui liturgia non era stata concordata, come in passato, con il Comitato inaugurale presidenziale, passerà alla storia per le reazioni che ha suscitato.

 

Nel suo sermone (circa 14 minuti), la vescova Budde si è focalizzata sul bene della nazione, rivolgendo un appello all’unità in un tempo di divisione politica, un’unità che non è omologazione né accordo politico o passività, ma rispetto per le differenze: «Il tipo di unità che promuove la comunità attraverso la diversità e la divisione, un’unità al servizio del bene comune». E ha parlato dei tre pilastri su cui questa deve poggiarsi («un’unità imperfetta, perché siamo esseri umani imperfetti, ma possibile»): il rispetto per la dignità di ogni essere umano; l’onestà; l’umiltà. Senza unità e senza queste fondamenta, costruiamo la nostra nazione sulla sabbia, ha rimarcato rievocando la nota immagine biblica.

In chiusura, dopo alcuni secondi carichi di attesa, negli ultimi quattro minuti si è rivolta direttamente al neoeletto presidente, con toni calmi ma fermi: «Milioni di persone hanno riposto la loro fiducia in lei, che ha sentito la mano provvidenziale di un Dio amorevole: nel nome del nostro Dio, le chiedo di avere pietà delle persone nel nostro paese che adesso hanno paura».

 

E per rendere più chiaro il messaggio ha elencato le categorie più minacciate: omosessuali e persone transgender, immigrati (che in gran parte non sono criminali, ma lavoratori seri e inseriti nella comunità), ma anche democratici o repubblicani lontani dal suo orientamento. Ci sono molte persone che temono fortemente per la loro vita. Basti pensare alle conseguenze dell’eliminazione delle misure di protezione per le persone transgender nelle carceri federali…

E i primissimi provvedimenti del rieletto presidente in materia di immigrazione non lasciano ben sperare.

 

Questo appello finale al presidente ha suscitato forti reazioni, sia positive che negative, anche in “casa” episcopale. Lo stesso Trump ha dichiarato tutto il suo disgusto ai giornalisti e preteso le scuse della «cosiddetta vescova» e della «sua chiesa» per quello che non pensava «fosse stato un buon culto».

 

Alla Cnn, dopo le prime dichiarazioni del presidente la vescova ha ribadito che si stava proprio rivolgendo a lui, ma anche idealmente a tutti, per ricordare «nel modo più gentile possibile» la responsabilità nei confronti delle persone più vulnerabili.

Una responsabilità che riguarda ciascun cittadino, perché, come ha ricordato la vescova, «il nostro Dio ci insegna che dobbiamo essere misericordiosi verso lo straniero, perché una volta eravamo tutti stranieri in questa terra».

 

 

Foto: La vescova di Washington Mariann Budde predica durante il Servizio di preghiera per la nazione alla Washington National Cathedral lo scorso 21 gennaio