In Italia cresce il numero dei poveri

Secondo l’ultimo rapporto Istat il 10% degli italiani vivono in povertà assoluta: al Nord più che al Sud. I dati raccolti dalla Caritas restituiscono la fotografia di una povertà multidimensionale

 

Nel nostro Paese i poveri non diminuiscono, anche se gli indicatori economici, finanziari e occupazionali negli ultimi tempi sono cresciuti (ma in alcuni casi… poco), ma di certo solo per una parte della popolazione, mentre la “ricchezza” continua a non essere distribuita in modo equo. Anzi aumentano le disuguaglianze.  Secondo l’ultima indagine Istat relativa al 2023, infatti, il 10% degli italiani non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. La povertà assoluta (impossibilità di condurre uno standard di vita minimamente accettabile) riguarda poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4% sul totale delle famiglie residenti, valore stabile rispetto al 2022) e quasi 5,7 milioni di individui (9,7% sul totale degli individui residenti, come nell’anno precedente).

 

La povertà relativa familiare (impossibilità a mantenere uno standard di vita corrente medio della società in cui si vive) riguarda inoltre il 10,6% ed è stabile rispetto al 2022: si contano quindi oltre 2,8 milioni di famiglie sotto la soglia. In lieve crescita l’incidenza di povertà relativa individuale, che arriva al 14,5% dal 14,0% del 2022, coinvolgendo quasi 8,5 milioni di individui.  

 

Ma il dato sorprendente deriva dal fatto che il Nord ormai sorpassa il Sud in termini di poveri: quasi un milione di famiglie in povertà assoluta al Nord che sono raddoppiate in circa 10 anni: erano 506mila nel 2014. Anche se il Sud, con 859mila famiglie povere, vince per incidenza, cioè la percentuale dei poveri sul totale della popolazione, il 12% contro l’8,9% del Nord. Impressionante l’incidenza di povertà assoluta fra i minori che si attesta al 13,8% (quasi 1,3 milioni di bambini e ragazzi, dal 13,4% del 2022) e che rappresenta il valore più elevato della serie storica dal 2014. Secondo l’Istat «nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 (+2,1% di occupati in un anno), registrato anche nei due anni precedenti, l’impatto dell’inflazione ha contrastato la possibile riduzione dell’incidenza di famiglie e individui in povertà assoluta». Ma non solo l’inflazione: mi sento di aggiungere che sulla povertà ha inciso anche la cosiddetta “povertà lavorativa” di coloro che, pur avendo un lavoro stabile (quando c’è), non hanno però una retribuzione, che dovrebbe essere, secondo l’art. 36 della Costituzione, “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

 

Povertà multidimensionale e multiforme

Così valuta la povertà in Italia l’ultimo e intenso 28° Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia della Caritas dal titolo significativo “Fili d’erba nelle crepe. Risposte di speranza”. Ogni anno la Caritas, infatti, sulla base anche dell’esperienza di ascolto e di aiuto fornita nei loro 3124 Centri Ascolto sparsi in tutta Italia tra le 206 diocesi, elabora un importante resoconto sulla povertà, con il pregio di essere non solo “quantitativo”, ma anche e soprattutto di tipo “qualitativo”.

 

Dietro i dati raccolti dalla Caritas, infatti, ci sono volti e persone, e ci fornisce un quadro statistico, umano e solidale di grande valore. Sappiamo pertanto che dal 2015 ad oggi il numero delle persone assistite dalla Caritas è aumentato del 41,6%, con un peggioramento della vulnerabilità al Nord. La Caritas, inoltre, ci racconta di una povertà intensa, persistente, variegata e che tende a cronicizzarsi. E che non è solo povertà economica e lavorativa, ma anche educativa, energetica, mentale e da solitudine, soprattutto per gli anziani. La Caritas sottolinea infine la carenza delle risposte istituzionali al tema della povertà: l’assenza di una politica per la casa (1,5 milioni di famiglie vive in case fatiscenti), l’assenza di un’alternativa al carcere, e da ultimo il passaggio brusco da una misura universale di sostegno come il Reddito di Cittadinanza, a due misure fatte per “categorie”, come l’Assegno di Inclusione (ADI) ed il Supporto per la Formazione ed il Lavoro (SFL), che però non funzionano  e che di fatto stanno penalizzando migliaia di famiglie e di giovani.

 

Occorrerebbe, invece e con urgenza, ampliare la copertura di ADI e SFL, oltre che migliorarne la chiarezza e semplificare il loro accesso, auspicando il ripristino di un sistema di sostegno universale e continuativo, che eviti l’esclusione delle tante persone in povertà assoluta e che possa favorire realmente un inserimento lavorativo. Nelle crepe della povertà, la Caritas e tutte le chiese cercano di piantare fili d’erba, di creare segni di speranza, di ascoltare, di sostenere e di curare gli esclusi e gli emarginati, ma da sole, di certo, non ce la possono fare.