Umanità, un sistema che bisogna imparare a riavviare

Il «ruolo della formazione teologica nell’era dell’Intelligenza artificiale» è stato al centro della prolusione di Francesca Nuzzolese, da quest’anno docente alla Facoltà valdese, che sabato 5 ottobre ha aperto l’anno accademico 2024/25

 

Nel pomeriggio di sabato 5 ottobre si è aperto l’anno accademico della Facoltà valdese di Teologia, come consuetudine con la prolusione, tenuta quest’anno dalla professoressa Francesca Debora Nuzzolese, votata l’anno scorso dal Sinodo come docente per la cattedra di Teologia pratica. In linea con la definizione stessa di prolusione la professoressa Nuzzolese ha illustrato la propria visione della materia d’insegnamento e ha presentato, o meglio, ha fatto sperimentare, ai tanti che fisicamente e virtualmente erano presenti, l’approccio che seguirà nel corso del suo lavoro accademico.

 

In 60 coinvolgenti minuti, la docente ha delineato la propria visione rispetto al ruolo della formazione teologica nell’era dell’Intelligenza artificiale (IA), conducendo i presenti attraverso il percorso proprio della teologia pratica; un percorso che comincia dall’esperienza, dal vissuto, s’innesta in un contesto e, attraverso la riflessione teologica, muove infine verso un’azione, un agire.

 

Data la premessa, il punto di partenza di Francesca Nuzzolese non poteva che essere la narrazione del proprio vissuto relativamente alla formazione teologica ricevuta. Un’educazione accademica, sempre affiancata dal lavoro pastorale, ha fatto in modo che «la teologia imparata a scuola si è sedimentata nella mia esperienza, nel mio vissuto, e creato una forma, che custodisce il ricordo, gli odori, i colori, e soprattutto le relazioni che l’hanno incarnata». A partire da questa riflessione personale, che la docente ha voluto condividere, due sono le conclusioni alle quali giunge: la prima è che formazione teologica non passa solo attraverso nozioni teoriche ma anche attraverso esperienze, solo in tal modo può essere trasformata in vocazione pastorale; la seconda è che la docenza non spetta solo agli insegnanti di professione, a coloro che trasmettono informazioni, ma anche alle comunità.

 

Questo vissuto, durante il prosieguo della prolusione, viene posto dalla professoressa in dialogo con il contesto, con il tempo in cui viviamo. Molte avrebbero potuto essere le caratteristiche della nostra era con le quali entrare in dialogo: la post-pandemia, le guerre, la crisi ecologica sono solo alcune. La sua scelta è caduta sull’IA, presa come punto di riferimento di un fenomeno più ampio e complesso, ovvero l’Era digitale. L’IA è una sfida che l’essere umano non può fare a meno di accettare, che può diventare un pericolo o un’opportunità. Sicuramente uno dei maggiori rischi dell’IA, nell’ambito della formazione, anche teologica, è una riduzione dell’empatia, delle abilità sociali e delle relazioni umane.

 

L’essere umano credente come può affrontare questa sfida se non attraverso gli strumenti delle convinzioni di fede? Attraverso questa e altre domande la professoressa Nuzzolese ha quindi introdotto un’altra tappa del percorso proprio della teologia pratica: la riflessione teologica. Cioè quel processo mediante il quale attribuiamo significato alle nostre esperienze collegandole all’azione di Dio nel mondo. La riflessione teologica inizia sempre con delle domande che ci guidano a mettere in relazione passato e presente, teoria e applicazione, nonché fede e azione. In relazione al tema dell’IA una possibile domanda potrebbe essere: a quali fonti “sacre” possiamo attingere per poter resistere al pericolo generale di dis-umanizzazione a cui il nostro tempo ci spinge? Prima di rispondere è però necessaria una pausa, nel percorso della teologia pratica tra riflessione teologica e azione, siamo obbligati a una pausa che si chiama: discernimento. Che permette di valutare tutto alla luce del nostro limite umano, e permette d’invocare la guida dello Spirito.

 

In conclusione, l’agire. La professoressa Nuzzolese definisce la missione della formazione teologica oggi: la re-umanizzazione. «Rimanere pienamente e fondamentalmente umani, che nella tradizione cristiana significa discendere nell’umano seguendo le tracce della kenosis divina, ovvero restituire all’umano la potenza, il dono, il privilegio di esistere pienamente e autenticamente in conformità al mandato divino: di amare l’altro o l’altra come noi siamo stati amati, di darci grazia, compassione e perdono infinito, di relazionarci come Dio ha fatto per noi in Cristo». Il vero nemico non è la tecnologia, ma l’illusione dell’autonomia e dell’isolamento dell’Io. È necessario sviluppare anche l’intelligenza emotiva/spirituale/relazionale anziché favorire esclusivamente quella cognitiva, linguistica, logico-matematica, come sembra aver fatto finora la tradizione formativa ed educativa. È necessaria un’intelligenza che integri mente, corpo e spirito, promuovendo compassione e ascolto, per rimanere umani in un’epoca di crescente alienazione e disconnessione.

 

Le celebrazioni per l’apertura dell’anno accademico sono proseguite anche il giorno successivo con il tradizionale culto d’apertura che, quest’anno, si è tenuto presso la chiesa valdese di piazza Cavour. Il culto è stato presieduto dal professore Daniele Garrone, il quale, durante la predicazione, ha accompagnato l’assemblea attraverso il cammino delineato dai versetti del Salmo 51, portando alla luce tutti i riferimenti ai libri profetici, ma non solo, che il salmista ha incorporato nel testo. Una predicazione appassionata e appassionante che ha ricordato come l’essere umano, davanti alla grazia di Dio, non possa far altro se non riconoscere la propria fragilità e il proprio bisogno di perdono.

(Foto di Martina Caroli)