Il perdono che ricuce i legami rotti

Un giorno una parola – commento a Matteo 6, 14

 

Signore, se le nostre iniquità testimoniano contro di noi, opera per amor del tuo nome

Geremia 14, 7

 

 

Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi

Matteo 6, 14

 

Perdono è una parola abusata. È la prima domanda del cronista a chi ha subito un torto. A volte è anche sbandierato per mostrare la propria superiorità rispetto all’atteggiamento giustizialista di coloro che proprio non ne vogliono sapere di perdonare perché prima attendono risarcimento. In entrambi i casi il perdono è pensato come un atto circoscritto a un evento e che è sempre comunque relativo a se stessi, a chi è chiamato al perdono.

 

Quando Gesù dice “se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche voi”, non si riferisce al perdono-baratto, ovvero successivo alla riparazione, o al perdono-egocentrato. Perché sicuramente chi perdona si sente buono, chi è dilaniato dal dolore ed è in preda alla rabbia sente tutto il peso delle tenebre nelle quali il male lo ha avvolto. Siamo perciò pronti a magnificare il primo, a stigmatizzare il secondo. Ma il perdono è sempre comunque del Signore, come ricordò Giuseppe ai suoi fratelli atterriti dalla vendetta che lui poteva loro infliggere.

 

A noi compete il perdono-restauro, quello che ricuce i legami rotti; che come il restauro giapponese del kintsugi non copre come stucco le crepe della violenza umana, il passaggio del male, ma ne dà traccia a testimonianza che la sofferenza può trovare senso. Il perdono di cui parla Gesù è un perdono di ricucitura dei rapporti di fratellanza e sororità che ci vede figli e figlie dell’unico Dio. Il perdono non è un atto, un’asserzione, è un processo. In cui vittima e carnefice, entrambi, si mettono in gioco. Amen.