Tempi sempre più duri per rifugiati e migranti
Torna lo spauracchio del migrante. In Europa e la politica si muove con nuove chiusure, muri, barriere, provvedimenti e addirittura incentivi. In Italia si attuano rimpatri e si appaltano strutture per migranti fuori dai confini
Tra 21 giorni ricorderemo il naufragio del barcone che al largo di Lampedusa provocò la morte di almeno 368 persone, era il 3 ottobre 2013. Una data che la Repubblica italiana ha riconosciuto come Giornata nazionale della memoria e dell’accoglienza. Dopo emozioni e azioni per far sì che tragedie del genere non avvenissero mai più, sono tornati i tempi duri per rifugiati e richiedenti asilo. Ovunque.
Lunedì prossimo la Germania chiuderà le sue frontiere per sei mesi, un giro di vite pensato dall’esecutivo per fermare gli arrivi dei migranti. Il governo ungherese è pronto a fare causa a Bruxelles sulla migrazione. L’Ungheria intende chiedere un risarcimento all’Unione europea per i circa due miliardi di euro spesi per proteggere il confine esterno della zona Schengen e aver finanziato questo sforzo senza il sostegno finanziario dell’Ue. La Svezia darà 30.000 euro a ogni migrante che «deciderà volontariamente di lasciare il Paese scandinavo». Il provvedimento riguarderà i migranti che torneranno nei loro Paesi di origine dal 2026. Donald Trump, dall’altro capo del mondo, negli Usa, parla di migranti che mangiano cani e gatti in Ohio. Mentre Forcella (Napoli) esprime dolore e commozione per i tre bengalesi travolti dallo scoppio di una bombola di gas a fine agosto, facendo emergere nuovamente, e con forza, il tema dell’accoglienza.
Restando in Italia leggiamo dall’Agenzia di stampa Ansa che, «alla fine il Viminale è riuscito a rimpatriare i primi due migranti irregolari con le procedure accelerate di frontiera. Quelle che – prosegue l’agenzia – un anno fa erano state bocciate dai magistrati di Catania che non avevano convalidato il trattenimento di alcuni tunisini nel Centro di Pozzallo (Ragusa)».
Una notizia, scrive ancora l’Ansa: «incoraggiante per il Governo che, con 4 mesi di ritardo rispetto ai primi annunci, si prepara ad aprire due strutture per migranti in Albania, una di prima accoglienza a Shengjin e l’altra a Gjader, che dovrà ospitare proprio gli stranieri soggetti alle procedure accelerate di frontiera. I primi arrivi sono attesi entro fine mese, a quanto si apprende».
L’Europa è ancora oggi legata a due trattati fondamentali: Schengen (che ha creato la libera circolazione) e Dublino, che ha minato alla radice la solidarietà nella gestione dei flussi in arrivo, e l’Italia si trova al centro.
Tutte notizie che non sembrano affatto incoraggianti.
Abbiamo raccolto un commento di Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope, il progetto rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei): «Vediamo con una certa preoccupazione la direzione che stanno prendendo alcuni paesi europei, come ad esempio l’inasprimento dei controlli dei confini in Germania. Le persone migranti e rifugiate sono trattate o come un problema di ordine pubblico o puramente come braccia da lavoro necessarie, ma prive di ogni diritto.
Spostare forzatamente in altri paesi le persone che hanno invece diritto di essere salvate e accolte in Italia – prosegue Bernardini -, esternalizzando di fatto la gestione dei flussi migratori, come previsto in Albania, non è assolutamente la soluzione, ed è in contraddizione a ogni forma di tutela dei diritti umani. Chiediamo che si faccia piena luce sul tipo di accoglienza prevista in questo sistema, riteniamo fondamentale che sia garantito pienamente il diritto d’asilo a tutte e tutti, e auspichiamo che i media e gli organi preposti monitorino le attività e i flussi di denaro relativi alle politiche migratorie in Italia e nei Paesi terzi.
L’impegno delle chiese protestanti – conclude Bernardini – rimane quello di mantenere un occhio vigile su quanto accade in Europa, sull’inasprimento di politiche migratorie discriminanti e razzializzanti, e di promuovere l’ampliamento di vie legali di accesso come per la mobilità lavorativa e gli ormai consolidati corridoi umanitari».