L’elezione del Parlamento europeo è una cosa seria

La consultazione che tocca 359 milioni di persone è un grande esercizio di democrazia. Le dimensioni statale e sovranazionale sono in costante dialettica con le altre Istituzioni

 

Sabato 8 e domenica 9 giugno 2024 si terranno in Italia le elezioni per eleggere i rappresentanti al Parlamento europeo (76 dei complessivi 720 che lo comporranno), con un mandato di cinque anni. In realtà, le elezioni in altri Stati membri dell’Unione europea si svolgeranno già a partire da giovedì 6 giugno, perché in taluni Stati, a esempio nei Paesi Bassi e in Irlanda, è uso andare a votare in giorni lavorativi. Ai sensi della legge elettorale europea, in tutti gli Stati membri viene fatto ricorso a un sistema elettorale proporzionale.

 

È la decima volta, la prima si tenne nel 1979, che i cittadini europei sono chiamati a votare a suffragio universale diretto per eleggere i propri rappresentanti in seno a questa istituzione. Si tratta di un esercizio di democrazia che non ha eguali al mondo. In totale, saranno chiamati alle urne quasi 359 milioni di elettori, un numero più basso di quello del 2019, quando votarono anche i cittadini del Regno Unito. L’eccezionalità dell’evento non è costituita tanto dal numero di elettori chiamati alle urne (si tratta, comunque, dell’elezione che coinvolge il maggior numero di persone dopo quella che si tiene in India per eleggere il Parlamento nazionale), quanto dalla sua assoluta peculiarità. Infatti, l’elezione anziché avvenire all’interno dell’ordinamento di un singolo Stato, si svolge nell’ambito di un ente sovranazionale a cui aderiscono una pluralità di Stati (in questo momento ventisette).

 

Sebbene la campagna elettorale sia svolta da partiti nazionali e spesso secondo logiche e interessi interni ai singoli Stati, la maggior parte degli eletti al Parlamento europeo sceglie di aderire a un gruppo politico transnazionale. Inoltre, la maggior parte dei partiti nazionali è affiliata a un partito politico a livello europeo. I principali, per numero di parlamentari iscritti, sono: Partito popolare europeo, Socialisti e Democratici, Renew Europe, Conservatori e Riformisti Europei e Verdi.

 

Una volta rinnovato, il Parlamento avvierà i suoi lavori che prevedono una convocazione almeno una volta al mese in seduta plenaria, ossia con tutti i deputati presenti in aula, a Strasburgo dove si trova la sede ufficiale. Possono poi essere convocate sedute aggiuntive, che si svolgono a Bruxelles, dove si riuniscono anche le commissioni parlamentari. Gli eletti saranno, in primo luogo, chiamati a esprimere il voto di approvazione della nuova Commissione e del suo Presidente, quest’ultimo designato dal Consiglio europeo, tenuto conto dell’esito delle elezioni del Parlamento europeo.

 

Il Parlamento esercita la funzione legislativa e approva il bilancio in modo paritetico con il Consiglio dell’Unione europea, che riunisce i ministri degli Stati membri competenti per materia. Gli atti legislativi dell’Unione europea, come i regolamenti, sono direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri e, in virtù del principio del primato, prevalgono nei confronti della normativa nazionale incompatibile. Si consideri che, in media, nell’arco di ciascuna legislatura vengono approvati circa 10.000 atti normativi, di cui circa 400 di portata generale (regolamenti, direttive e decisioni adottate con procedura ordinaria) in materie come l’agricoltura, l’ambiente, l’industria, i trasporti, la ricerca, ma non la difesa. Quest’ultima è nella disponibilità esclusiva del Consiglio dell’Unione europea e mantiene un impianto tipicamente intergovernativo e basato sull’unanimità.

 

Le elezioni al Parlamento europeo sono, dunque, una cosa seria. Spiace, perciò, constatare la scelta dei segretari di alcuni dei maggiori partiti italiani di candidarsi e chiedere la preferenza nella consapevolezza che poi non andranno a Strasburgo/Bruxelles, una volta eletti. Si tratta di una vera e propria alterazione del sistema elettorale che avviene in pregiudizio della buona fede degli elettori e nel presupposto della loro scarsa conoscenza e consapevolezza del funzionamento e dello scopo delle elezioni europee. Una cattiva prassi che, una volta introdotta, ha fatto proseliti e testimonia una scarsa considerazione di una parte degli esponenti politici italiani del significato e della portata dell’appartenenza del nostro Paese all’Unione europea. In nessun altro Stato membro questo comportamento viene, infatti, praticato.

 

Voteranno per la prima volta, alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, ventuno milioni di europei, di cui quasi tre milioni di giovani italiane e italiani (i cosiddetti first-time voter), ed è, prima di tutto, a loro che viene chiesta una scelta pienamente consapevole. Una scelta che guardi al futuro in termini di convivenza pacifica e collaborativa in cui le logiche e le aspirazioni nazionali trovino un giusto compromesso in un percorso di integrazione, tutt’altro che concluso, iniziato da oltre settanta anni.

 

 

Michele Vellano è professore ordinario di Diritto dell’Unione europea – Università di Torino