Uno scambio di lettere fra Edmondo De Amicis e Lidia Poët
L’autore di “Cuore” e “Alle porte d’Italia” soggiornò a Pinerolo e si rivolse alla giurista per avere informazioni logistiche
Ho trovato nel 2006, durante una mia ricerca sugli itinerari urbano-territoriali – essendo prevalentemente uno storico della architettura – nelle città e paesi del Pinerolese effettuati dal famoso scrittore Edmondo De Amicis (indimenticabile autore di Cuore) e descritti nel proprio romanzo storico Alle Porte d’Italia (1884), alcune lettere inedite (che l’anno dopo ho pubblicato sul Bollettino della Società Storica Pinerolese) di corrispondenza privata intercorsa, negli anni dal 1884 al 1897, tra De Amicis e la giovane avvocata Lidia Poët (che nell’Ottocento si scriveva con la dieresi sulla “e” per una giusta dizione occitano-francese, che tuttavia allora si pronunciava Poé, e poi nel Novecento è stata italianizzata, anche anagraficamente, in Poet), della quale ultimamente si sta dibattendo – su giornali e siti telematici, e anche organi di informazione evangelici – a proposito del recente contestato filmato televisivo che la riguarda.
Non voglio inserirmi nella polemica in atto che ormai ha chiarito abbastanza le pecche e i difetti di quello sceneggiato, bensì riportare una testimonianza culturale di rapporto umano e sociale che, tramite la diluita corrispondenza epistolare tra De Amicis e Lidia Poet, si è tra i due attuato, su argomenti non magari esaltanti, e anzi decisamente banali, ma di tutta quotidianità insolita, che per questo contenuto assumono una importanza di portata più ampia per la conoscenza privata delle vicende storio-critiche deamicisiane e della stessa Poet, coinvolgenti la situazione pinerolese in genere.
Queste lettere innanzitutto sono soltanto di Edmondo De Amicis, mandate a Lidia per specifiche informazioni riguardanti la possibilità che la «signorina» (a volte «signora») Poet potesse procurargli, abitando ella a Pinerolo e diretta conoscente delle zone circostanti, le case che periodicamente gli occorrevano, nelle stagioni estive, per trascorrere le sue vacanze con la propria famiglia nelle valli pinerolesi; e comunque vicino a Pinerolo, la città da lui amata per la riconoscenza ricevuta (venne proclamato cittadino pinerolese onorario) dopo il grande successo nazionale che ebbe il suo romanzo Alle Porte d’Italia, in cui egli narrava, in alcuni fitti capitoli, le vicende – di allora e storiche – di Pinerolo e dintorni.
Riporto, di queste missive, una parte significativa dell’aprile del 1892: «Vorremmo passare l’estate prossima a Pinerolo, o meglio nei dintorni, o anche su nella Valle del Chisone, purché fosse vicinissimo ad un villaggio alimentare, e quanto più possibile in alto. Se lei ci potesse indicare, senza darsi l’incomodo di cercarla, una villa o casa o spelonca qualsiasi, in cui ci potessimo rifugiare, ci farebbe un grande favore».
Non conosciamo tuttavia le risposte mandate dall’avvocata a De Amicis; ma nelle parole del romanziere si ricava che egli ebbe la condizione di risiedere in varie dimore del Pinerolese (e però non si sanno quali), e che la persona che gliele procurò fu senz’altro lei. E magari potremmo anche azzardare l’ipotesi (o meglio fantasticheria dedotta) che in mancanza di altri luoghi più comodi – come il romanziere richiedeva – la sua corrispondente possa avere messo a disposizione proprio il grande caseggiato di Traverse di Perrero, nella valle Germanasca, dove la sua famiglia abitava.
A proposito però delle case di residenza di De Amicis nel Pinerolese, rimaste finora sconosciute, è comunque noto che egli abitò, nel periodo di stesura – tra 1882 e 1883-84 – di Alle Porte d’Italia, nella città di Pinerolo, e in quella che era originariamente la Villa D’Aquilant, ai tempi deamicisiani di proprietà della famiglia Accusani, e dopo (e ancora adesso) divenuta dei Maffe e quindi dei Rolfoi: in quel grande edificio ottocentesco di carattere neogotico tuttora esistente e denominato “La Graziosa”, costruito sul sito Antico del medioevale Castello degli Acaja divenuto Cittadella francese nel Seicento, poi completamente demolito dall’esercito piemontese dopo la sconfitta del Re Sole dal 1696. Dal cui terrazzo e giardino, sospeso sulle mura rimanenti del Bastione Malicy, a strapiombo sulla pianura sottostante, si poteva vedere il meraviglioso panorama dal romanziere descritto nel proprio libro con intenso entusiasmo: «Un paesaggio vasto, vario, fresco, che sale, trasformandosi gradatamente, dal sorriso verde dei campi e dei giardini, alla maestà bianca e celeste delle più alte montagne d’Italia»; di cui peraltro ha dichiarato anche come «Fu quella bellezza che mi fece scrivere».
Infine, a proposto della complessa figura di Lidia Poet, e delle sue scarse raffigurazioni fisiche, variamente pubblicate sui siti telematici e altrove, devo in ultimo segnalare che l’immagine spesso riportata quale autentica da parecchi autori e testate letterarie, e ultimamente perpetuata in un disguido da correggere, rappresenta invece la coeva poetessa estone Lydia Emilie Florentine Jannsen, autosoprannominatasi Koidula (ovvero Alba), deceduta nel 1886. Un errore da segnalare, per una più autentica riconoscibilità fisica del personaggio piemontese.