Lampedusa, le migrazioni, l’Italia e l’Europa
Una riflessione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
La Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Fcei), da anni impegnata in programmi di accoglienza e integrazione delle persone migranti e richiedenti asilo, avverte tutta la gravità della situazione che si è determinata a seguito ai numerosi approdi registrati a Lampedusa.
In questi ultimi giorni, grazie alla costante presenza sull’isola delle operatrici e degli operatori di Mediterranean Hope (MH) – il programma che si occupa di rifugiati e migranti – la Fcei ha ricevuto informazioni costanti e puntuali sulla situazione e ha partecipato a varie iniziative di sostegno ai migranti in arrivo, quali la prima accoglienza al molo o nei diversi luoghi di arrivo autonomi, l’eccezionale raccolta e distribuzione di pasti, la condivisione di momenti di incontro. Tutto questo in costante collaborazione con molte persone solidali della società civile, della chiesa cattolica locale e di diverse Ong. È questo un servizio che MH garantisce da quasi dieci anni, da quando la Fcei ha deciso di stabilire un presidio permanente a Lampedusa.
Il costante impegno della Federazione delle chiese evangeliche nel servizio alle persone che sbarcano al molo Favaloro si esprime anche nella cerimonia di commemorazione ecumenica che ogni anno ricorda la tragedia del 3 ottobre del 2013 che contò 368 morti e di cui quest’anno ricorre il decennale. E difatti, il 3 ottobre prossimo, il Presidente e alcuni membri del Consiglio della Fcei e la moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta parteciperanno a un evento ecumenico per testimoniare, ancora una volta, la vicinanza delle chiese evangeliche ai profughi in arrivo, alle operatrici e agli operatori delle associazioni umanitarie, agli apparati dello Stato impegnati nel salvataggio in mare e nell’accoglienza, alle istituzioni e agli abitanti dell’isola che, di nuovo in questi giorni, hanno saputo accogliere migliaia di migranti.
La Fcei, rilevando che a seguito del picco di arrivi registrati in queste settimane, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la commissaria UE per gli Affari interni Ylva Johansson e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si sono recate sull’isola, ritiene che questa missione congiunta indichi una strada positiva da percorrere con rinnovato coraggio europeista. La presenza delle due leader sull’isola, infatti, suggerisce che l’Europa riconosce che le migrazioni lungo le varie rotte mediterranee sono tema di sua competenza e delinea una serie di impegni che ricadranno sugli stati membri. Per parte sua l’Italia, ammettendo che la sfida delle migrazioni mediterranee si risolve soltanto di concerto con le istituzioni europee, cerca di attivare una strategia di collaborazione che, nei fatti, indebolisce suggestioni e strategie sovraniste.
Se, nel tempo a venire, vi saranno sviluppi coerenti con questa impostazione, siamo di fronte a un passaggio importante, che merita di essere discusso e approfondito. Se, infatti, il piano in dieci punti delineato dalla presidente della Commissione UE ha il merito di avanzare una serie di proposte, i criteri di applicazione, però, restano spesso indeterminati e suscitano preoccupate riserve.
In particolare, restano aperti gli interrogativi sul ruolo di Frontex a cui non possono essere affidati compiti di valutazione delle domande d’asilo che spettano a specifiche autorità nazionali o all’agenzia europea per l’Asilo (EUAA). L’affidamento a Frontex di rimpatri rapidi per coloro che non avrebbero diritto all’asilo, inoltre, violerebbe norme nazionali e internazionali che tutelano persone a vario titolo perseguitate nei loro paesi o in quelli in cui li si vorrebbe ricollocare.
Al tempo stesso, non possiamo aspettarci che Frontex possa essere coinvolta nelle procedure di accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo, che implicano interventi di ordine sanitario, sociale e legale che l’agenzia non è titolata né autorizzata a gestire.
Discorso del tutto analogo vale per gli accordi con i paesi di imbarco che, come la crisi in atto e le ripetute denunce sulla violazione di fondamentali diritti umani in Libia ben evidenziano, si sono rilevati inefficaci e non tutelano i richiedenti asilo. Non può non suscitare la nostra opposizione, pertanto, il fatto che le azioni tese a “bloccare le partenze” siano affidate a paesi che non danno garanzie di rispetto dei diritti umani, che sono imprescindibili per ogni partner dell’Unione europea.
Altro aspetto che merita un serio approfondimento riguarda “il meccanismo di solidarietà volontaria per trasferire i migranti fuori dall’Italia” che, in assenza di sanzioni, potrebbe risultare nel tutto inefficace come, per altro, è stato sin qui.
Proseguendo nell’analisi del piano Von der Lyen, la Fcei apprezza il richiamo ai corridoi umanitari, indicati come misure di contrasto dell’immigrazione irregolare gestita dai trafficanti. Come noto, la proposta e la realizzazione dei primi corridoi umanitari nel 2015 si deve proprio all’azione congiunta della Fcei, della Tavola valdese e della Comunità di Sant’Egidio. A distanza di 8 anni dall’avvio di quel progetto, rileviamo però che sin qui l’intero onere del suo sviluppo è ricaduto sugli enti promotori e che, ad oggi, il numero complessivo di richiedenti asilo che si sono potuti avvalere di questa via non supera le 6000 persone. Alla luce di questi dati, pertanto, la Fcei ritiene che il richiamo ai corridoi umanitari sia legittimo e credibile soltanto a due condizioni:
La prima è che, riconoscendo e valorizzando l’sperienza di gestione dei corridoi umanitari acquisita dagli enti promotori, se ne faccia carico finanziario l’Unione europea, in collaborazione con gli stati membri che vorranno aprire vie legali di accesso;
la seconda è che i numeri programmati siano coerenti con le urgenze che abbiamo di fronte e che, pertanto, prevedano l’ingresso annuale in Europa e l’avvio a percorsi di integrazione per varie decine di migliaia di richiedenti asilo. Per sostenere questo sforzo sono immaginabili forme di community sponsorship analoghe a quelle che, con numeri assai consistenti, sono state realizzate ad esempio in Canada.
A questo riguardo, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia rileva che nel piano proposto dalla presidente della Commissione non si fa riferimento alle misure per l’integrazione che pure, nei decenni, hanno costituito un tratto originale e caratteristico dell’Unione. L’esperienza maturata in questi anni dalla Fcei, da varie associazioni dalle istituzioni coinvolte dimostra che una buona immigrazione che contribuisca alla crescita del Paese e che garantisca la coesione sociale marcia di pari passo con politiche di integrazione che, come si legge nei testi dell’Unione, impegnano sia i migranti che i nazionali. Non investire sull’integrazione o, peggio, disinvestire rispetto ai programmi adottati in passato anche in Italia si traduce, pertanto, in un danno sociale.
Rileviamo con viva preoccupazione l’oggettivo smantellamento di numerosi progetti di accoglienza territoriale e l’ipotesi, di segno opposto, di creazione di grandi concentrazioni di richiedenti asilo (CPR), per altro aumentando i tempi per la valutazione delle loro domande. Ribadiamo che la richiesta d’asilo non è un reato e non può essere gestita con misure di carattere detentivo.
L’Italia ed altri paesi europei sono in grado di accogliere quote di migranti e di avviarli, anche grazie al lavoro, in efficaci percorsi di integrazione. Al tempo stesso, hanno saputo accompagnare la crescita di figlie e figli di migranti che, con il loro studio e il loro lavoro, hanno creato ricchezza e capitale sociale.
MH ed altri programmi attivati dalla Fcei, pertanto, sono stati orientati da una bussola che indicava l’integrazione come riferimento strategico e irrinunciabile delle politiche di immigrazione, ritenendo che l’integrazione sia un interesse della nazione e non una sprovveduta concessione. Gli evangelici italiani tornano ad esprimere questa convinzione, pronti a fare la loro parte e chiedendo al Governo di non perdere di vista questa rotta.
Inoltre, una politica europea sulle migrazioni deve saper guardare oltre le emergenze – come, ad esempio, quella dell’incremento degli approdi a Lampedusa – per occuparsi anche dei push factors che costringono, e sempre di più lo faranno, le persone a fuggire: guerre, violenze, dittature, povertà endemiche, terremoti, desertificazione… In questo senso, la ricerca di misure di pacificazione e sostegno allo sviluppo (“piano per l’Africa”) dovrebbero essere al centro di una lungimirante azione europea. Proviamo a pensare che cosa si potrebbe ragionevolmente fare con le centinaia di milioni di euro impiegati nelle azioni di respingimento.
La Fcei, infine, chiede al Governo e al Parlamento di accompagnare lo sforzo compiuto dalle comunità cristiane e di altre fedi così come dalla società civile italiana, per costruire una società coesa, centrata sui principi costituzionali, rispettosa dei diritti e capace di dare speranza al prossimo perseguitato e ferito che bussa alle nostre porte.
Disegno di Francesco Piobbichi, staff, Mediterranean Hope programme (Fcei)