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In famiglia parli francese

È in distribuzione in tutto il territorio del Pinerolese e leggibile online su questo sito, il numero di agosto del mensile free press “L’Eco delle valli valdesi”.
Il dossier di questo mese è dedicato a “Il francese nelle Valli”: più di una lingua; accanto alla tradizione tipicamente valdese di usare l’idioma dei cugini transalpini, c’è una serie di iniziative e di risorse destinate al mantenimento della parlata, accanto a quella occitana. L’articolo di inquadramento è scritto per noi da Matteo Rivoira, direttore dell’Atlante linguistico italiano. Buona lettura.

Parler français ça fait un peu la division si tu es en famille ou si tu es dehors. Dehors tu parles italien, en famille tu parles français «Parlare francese fa un po’ la differenza, se sei in famiglia o fuori. Fuori parli italiano, in famiglia parli francese»: così si esprimeva una donna valdese di Villar Pellice nel 1996 rispondendo alle domande una giovane tesista tedesca, Frauke Eschmann. Se è difficile quantificare il numero di coloro che si esprimono comunemente in francese in famiglia, la collocazione e la funzione della lingua d’Oltralpe nel repertorio linguistico dei valligiani continua a essere quella efficacemente descritta dalla testimone villarese la quale nella sua testimonianza ribadiva poi come tale uso fosse diffuso in particolare tra le donne.

A ben vedere la situazione odierna è più complessa. L’uso della lingua continua in contesto familiare: si tratta di una varietà di francese caratterizzata da forti tratti regionali, come aveva già rilevato Rossana Sappé negli anni ’80 studiando la realtà di San Germano Chisone, al punto che si parla con una punta di ironia del français des vallées, “francese delle Valli”, per distinguerlo da quello “di Francia”. D’altro canto, però, il francese continua a svolgere, anche se marginalmente, il ruolo di lingua di cultura: qualche culto ancora si celebra in francese in alta val Pellice, e soprattutto, è ben presente nel repertorio canoro, sia quello tradizionale dei cahiers des chansons, sia quello delle corali. Inoltre, come hanno evidenziato le ricerche di Cristina Chioni e, più recentemente, di Sabina Comba, sebbene la competenza del francese non sia appannaggio della sola comunità valdese (il suo insegnamento è stato introdotto nelle scuole pubbliche delle valli valdesi), è certamente vero che il suo uso familiare e la sua trasmissione caratterizza tendenzialmente le famiglie di confessione valdese.

Le ragioni della presenza del francese nelle valli valdesi sono note: la sua introduzione si può far risalire alla metà del ’500, quando con l’adesione alla Riforma (1532) e contestualmente alla traduzione della Bibbia in francese, la comunità valdese si dota di una struttura ecclesiastica di impostazione riformata stabilendo rapporti via via più stretti con le comunità francesi e svizzere, al punto che già a metà Cinquecento non sono pochi i pastori francofoni che iniziano a lavorare nelle neonate chiese valdesi. I dettagli di questo passaggio linguistico sono piuttosto difficili da ricostruire, ma è un fatto che dopo Chanforan la stesura dei testi valdesi, prima in occitano alpino, avviene in francese e in italiano, lingua quest’ultima che però un secolo più tardi viene di fatto accantonata.

I secoli successivi vedono consolidarsi il francese negli usi ecclesiastici e nella produzione di carattere culturale, quanto meno sino al 1848 quando, con l’acquisizione dei diritti civili, la Chiesa valdese sceglie di introdurre l’italiano nelle sue consuetudini, sino ad abbandonare quasi completamente l’uso del francese nei documenti ufficiali a inizio Novecento. All’incirca in questo periodo, l’italiano prende il posto del francese anche nell’insegnamento, che nel frattempo è gestito dallo Stato.

In questo processo di declino, va ulteriormente a incidere la politica fascista che nel 1938 vieta l’uso pubblico della lingua francese, ormai da considerarsi “straniera” sul territorio italiano. Se in questo periodo viene meno l’uso del francese come varietà alta, esso continua a essere trasmesso per via familiare, in particolare tra le donne, come si può documentare ancora oggi. La cosa non stupisce se solo si pensa a quanto fossero apprezzate dalla borghesia cittadina le giovani valligiani impiegate come bambinaie e donne di servizio.

Nel Novecento, insomma, il francese vede sempre più circoscritti i suoi impieghi, ma non viene mai del tutto meno, né sul piano della cultura formale, grazie anche all’avvio di importati progetti didattici a partire dagli anni ’80, né in altri contesti, dove è stato variamente valorizzato, da ultimo anche dalla legge nazionale di tutela delle lingue minoritarie (482/1999) che ha permesso l’attivazione o la continuazione di iniziative come lo “Sportello linguistico” o la Semaine du français.