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Demografia e questione etnica

Una delle sceneggiature della comunicazione politica è un plot in tre mosse.
Prima mossa: qualcuno dice una frase o si impossessa di una metafora che può essere rilanciata come un hashtag dai propri (ma anche consentire una visibilità pubblica);
Seconda mossa: replica di vari attori (media, oppositori politici, figure pubbliche della cultura…) che chiedono chiarimenti o correzioni;
Terza mossa: ritorno in campo del protagonista della prima mossa che precisa, distingue.

Da questo punto di vista ciò che abbiamo ascoltato/visto nelle settimane scorse – per esempio il caso del ministro Francesco Lollobrigida e della “sostituzione etnica” – non rappresenta una novità. Le parole che si usano non sono neutre ma vogliono dare spazio e di dignità a emozioni, paure, timori o si accreditano come vocabolario politico che è in cerca di qualcuno che lo incarni.

Riepilogo.
Prima mossa: il ministro Francesco Lollobrigida nel suo intervenuto al congresso della Cisal (Confederazione italiana Sindacati autonomi Lavoratori) il 18 aprile scorso propone “sostituzione etnica” come linea di politica;
Seconda mossa: repliche e critiche anche all’interno della destra.
Terza mossa: dichiarazione il giorno seguente (19 aprile) che non sapeva.

Il tema della “sostituzione etnica” non indica una fonte difficilmente rintracciabile (o solo per pochi). Per esempio sta al centro del 55° Rapporto Censis (dicembre 2021), un testo che è sulla scrivania di qualsiasi personaggio pubblico che voglia parlare di temi che ci riguardano tutti. Una delle affermazioni contenute in quel rapporto, per esempio, è questa: «La teoria cospirazionistica del “gran rimpiazzamento” ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste». Davvero il ministro Franco Lollobrigida non sapeva? Ne dubito. Penso, invece, che lo sapesse e che quella cosa sia stata percepita come un tema spendibile.

Il tema rinvia a due questioni che non sono dipendenti da ciò che si è letto, ma che discendono da un lessico politico che ha avuto un peso nella storia politica italiana e con cui o si fanno, o non si fanno i conti. Molti hanno ricordato come il tema delle politiche demografiche, della famiglia numerosa sia stato un tema forte della cultura politica e delle pratiche politiche del fascismo regime. Si potrebbero ricordare molte opere e molti discorsi non solo di Benito Mussolini, ma anche di Corrado Gini (il vero costruttore delle politiche sulla famiglia del regime). Un tema, quello della famiglia e degli aiuti alle famiglie numerose che sta dentro il pacchetto più volte riproposto del «Mussolini ha fatto anche cose buone». La dichiarazione di non sapere appare più una scusa che non un’ammissione o un a replica critica.

Ma il tema non è solo fare i conti o meno con il passato, o di considerare dignitoso un segmento di quel passato, bensì di proporlo come utile. E, perciò, la possibilità di usarlo perché percepito come “moneta buona” nel tempo presente. Le parole non sono mai casuali, hanno una storia, ma soprattutto, rispondono a un calcolo. La questione della “sostituzione etnica”, infatti, più che ammiccare a ciò che rimane delle parole del passato nel nostro vocabolario attuale, è un modo per prestare attenzione, valorizzare e dare credito (e dunque in gergo politico si potrebbe dire “coccolare”) ai timori e alle ansie di quella parte di opinione pubblica che è uscita dal tempo di «Covid 19» convinta che le politiche seguite per far fronte alla pandemia siano state due cose.

Da una parte la prova di una campagna costruita da alcuni poteri forti per controllarci; dall’altra una procedura con cui rapidamente – o almeno più rapidamente di quanto già non stesse avvenendo – si è praticata una linea politica che mentre ci rinchiudeva in casa procedeva a rimodellare funzioni, lavori, attori della produzione che segnavano la fine del modello industriale novecentesco e marginalizzavano. Insomma una riproposizione della visione vittimaria del “bravo italiano”.

Anche per questo quella risposta – «non sapevo» – non assolve. Anzi chiede che si illustri lo scaffale culturale su cui si costruiscono convinzioni, opinioni e dichiarazioni.