Come non scivolare in una società postwelfare
Dinanzi ai dati del 59° Rapporto Censis l’impegno della Diaconia valdese
I dati del 59° Rapporto Censis, diffuso nei giorni scorsi, restituiscono la fotografia di un paese entrato in quella che è stata definita un’«età selvaggia», caratterizzata da una profonda frattura nella convivenza civile. Le statistiche sono impietose: il 72,1% degli italiani non crede più ai partiti né alle istituzioni, mentre il 62,9% ritiene ormai spento ogni «sogno collettivo». Ancor più allarmante è il dato secondo cui quasi il 40% della popolazione si rassegna all’idea che i conflitti si risolvano con la forza anziché attraverso il diritto.
In questo scenario segnato da un vuoto di speranza, non bisogna leggere i dati come una sentenza inappellabile, bensì come un appello urgente a ricucire i legami sociali. La vera minaccia per il futuro dell’Italia, infatti, è il rischio concreto di scivolare in una «società post-welfare».
Il Rapporto certifica uno squilibrio insostenibile nella gestione delle risorse pubbliche: oggi lo Stato spende 85,6 miliardi di euro per pagare gli interessi sul debito. Si tratta di una cifra nettamente superiore ai 54,1 miliardi destinati ai servizi ospedalieri o ai 76,5 miliardi per l’istruzione. Quando il peso del passato divora le risorse necessarie per la cura e la formazione, a pagarne le conseguenze sono le fasce più fragili e il ceto medio, costretti a vivere in uno stato febbrile di incertezza.
Tuttavia, è proprio in questo contesto di risorse calanti che l’Italia compie il suo errore più grave: lo spreco di capitale umano. Incrociando l’analisi del Censis con il recente allarme del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), emerge un quadro paradossale. Da un lato, il paese perde i suoi giovani: si registrano 630.000 partenze in 13 anni, con un costo stimato in circa 160 miliardi di euro. Dall’altro lato, si mortificano le competenze di chi arriva: il Censis evidenzia che il 55,4% dei lavoratori stranieri laureati è sovra-istruito per le mansioni che svolge, venendo spesso relegato al lavoro povero.
Di fronte a questo doppio spreco, la risposta risiede nella valorizzazione del lavoro e dei diritti per tutti. In questa direzione si muove la proposta della Diaconia valdese con altri partner, sostenuta dal Sinodo, relativa ai “corridoi lavorativi”. Questa nasce da una necessità pragmatica e valoriale di creare canali legali e sicuri d’ingresso: strumenti necessari per ridare dignità alle persone, prosciugare l’illegalità e immettere nel sistema le energie vitali indispensabili per sostenere quel welfare universale che protegge ogni cittadino.
Questo agire sociale trova radice e senso in un preciso mandato teologico: l’esortazione del profeta Geremia a «cercare il bene della città» dove siamo stati condotti, poiché «nel suo benessere sta il vostro benessere» (Geremia 29, 7). Nell’“età selvaggia” descritta dal Censis, cercare il bene della città significa rifiutare la guerra tra poveri e testimoniare che nessuno si salva da solo. Il benessere dell’Italia passa oggi dalla capacità di riconoscere che il destino di chi parte, di chi resta e di chi arriva è uno solo.