Violenza di genere, ciò che c’è da fare
«È molto importante che il femminicidio sia ora configurato come reato autonomo». Intervista alla professoressa Debora Spini
Violenza contro le donne: nel pieno del percorso che dal 25 novembre (Giornata internazionale per contrastare la violenza sulle donne) porta al 10 dicembre (Giornata internazionale dei diritti umani), a cui la Federazione donne evangeliche in Italia dedica il proprio Quaderno, abbiamo considerato con attenzione l’altalena di notizie che provenivano dalla politica e dalle Istituzioni: avevamo segnalato con soddisfazione il fatto che una decisione bipartisan alla Camera avesse portato alla prima approvazione della proposta di legge che modifica l’art. 609bis del Codice penale, in materia proprio di violenza sessuale («Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni»).
Sono bastati pochi giorni per veder venir meno l’incanto di una convergenza delle forze politiche su un tema così rilevante. Al Senato, dove ora il testo deve andare in lettura, c’è stata una frenata (Lega e FdI), pur nella convinzione che ci sia il tempo per procedere all’approvazione. Nel frattempo – altra nota positiva – il 26 novembre la Camera ha approvato in via definitiva (dopo il pronunciamento del Senato, giunto il 23 luglio scorso) la norma che individua il femminicidio come un reato particolare.
«È molto importante che il femminicidio sia ora configurato come reato autonomo – ci dice Debora Spini, docente alla New York University Florence e membro della Commissione Studi-dialogo-integrazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che interpelliamo anche perché il 25 novembre di dieci anni fa era presente alla firma, presso il Senato, di un importante documento ecumenico sottoscritto da cattolici, protestanti e ortodossi, intitolato Contro la violenza sulle donne: un appello alle chiese cristiane in Italia –:i “nomi delle cose” servono a dare visibilità, ed è dunque importante che la violenza di genere abbia visibilità».
Naturalmente bisogna anche chiedersi quali strumenti vengano messi in campo con una nuova norma: «La questione della “punizione” è ovviamente molto complessa: al di là delle reazioni che possiamo avere, non tanto come cristiani e cristiane ma come cittadini e cittadine, di fronte a fatti di violenza efferata contro le donne dobbiamo andare “al dl là”: non dobbiamo dimenticare che anche nella Costituzione troviamo scritto che la punizione deve anche avere un valore riabilitativo, e quindi la battaglia per il contrasto anche legale, anche politica alla violenza di genere non deve essere “dirottata” in nome di una visione dello Stato securitaria o autoritaria.
Dunque, è fondamentale che ci sia uno “scrigno” legale che identifica con un nome preciso una pratica che purtroppo esiste e va riconosciuta: ma alla base di tutto è importante l’educazione».
Le chiese, in questa temperie culturale, che cosa possono dire? «Le chiese possono dire, ma soprattutto possono “fare”, e questo era lo spirito dell’appello ecumenico del 2015: le chiese mettono mano anche nella vita familiare, dalla preparazione al matrimonio al catechismo alla cura d’anime… Sono coinvolte, e hanno un ruolo fondamentale. Se cominciamo a pensare un mondo in cui il rispetto, l’educazione dei sentimenti fanno parte della catechesi e della pastorale (termine magari non molto protestante, ma importante), tutto ciò può contribuire a eradicare la piaga della violenza di genere. Sarebbe un passo importante. Su quel che le chiese possono dire – e qui invece troviamo una specificità protestante – la giustizia di genere non è un’appendice, bensì una parte integrante dell nostra testimonianza all’Evangelo della grazia e all’Evangelo che libera».
Purtroppo anche recentissimi fatti di cronaca ci testimoniano di un clima e cultura che va oltre i casi individualmente più gravi… «L’episodio del liceo “Giulio Cesare” di Roma [una “lista di stupri”, trovata nei bagni dell’istituto, ndr] è fondamentale: certo quei ragazzi non premeditavano un piano delittuoso, tuttavia se si comincia a “sdoganare” lo stupro come scherzo, si crea una cultura in cui la violenza peggiore può fiorire. Tornando al documento che fu sottoscritto dieci anni fa, c’è oggi una sensibilità molto più accentuata, proprio sull’aspetto dell’educazione, in particolare l’educazione al rispetto dei sentimenti: e su questo abbiamo molto da dire, ma soprattutto da fare».
Foto: “Zapatos Rojos” installazione artistica contro il femminicidio, dell’artista e attivista messicana Elina Chauvet, Venezia- Campo Santo Stefano, 30 – 31 agosto 2024