Dal Concilio di Nicea alla Riforma protestante: una prospettiva comune
Una riflessione di Sergio Rostagno, docente emerito di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia
Il Concilio tenutosi a Nicea nel 325 ha stabilito i principi fondamentali del cristianesimo e ha delineato il quadro della religione cristiana. Le basi sostanziali erano già poste fin dall’inizio, ovviamente. Segnò la conclusione di un processo lungo e complesso, maturato nei primi tre secoli del cristianesimo. Vediamo di riassumerlo: il pensiero trinitario sostituisce all’idea autoritaria e verticale di un Dio unico, monolitico, che troneggia nei cieli, quella di un Dio trinitario, che si abbassa per primo verso l’essere umano, fino a perdere in Gesù Cristo crocifisso la divinità, secondo i nostri umani criteri. Dunque, un Dio che cancella le pretese umane di elevarsi al divino, sostituendole con un principio di novità e di libertà. L’umanità è l’erede di questa novità assoluta e vi partecipa realmente.
Nel Credo di Nicea anche un altro aspetto merita di essere sottolineato. L’intero sviluppo della teologia è attraversato dalla domanda sull’uomo. Se Dio è, che cos’è l’essere umano? E come può partecipare dello stesso «essere»? Il Credo lega strettamente la vicenda umana e la vicenda divina. Le sue conclusioni parlano di un Dio che, di propria iniziativa, svuota sé stesso per prendere parte all’umano, e che da questo prender parte poi emerge, nella risurrezione, trasferendo sull’uomo la sua vittoria. Questa è la prospettiva che si manifesta nella riflessione del Concilio di Nicea.
Il tema attraversa in un primo tempo la teologia di Agostino e di altri, viene poi ripreso da Lutero e dalla Riforma, per arrivare fino a noi. Talvolta si è cercato di contrapporre teologia riformata e dogma di Nicea. Basta un’occhiata alle opere di Calvino per capire che si tratta di una pista del tutto errata. In sintesi, vediamo perché.
Dio si svuota della sua divinità per risorgere e donare all’essere umano una nuova vita. Questo è il punto di partenza. Lutero ne mise in luce una conseguenza importante: la giustizia che proviene da Dio e che Dio dona all’essere umano annulla la pretesa umana di legare insieme la propria giustizia a quella di Dio, rompendo quel legame una volta per tutte. Lutero affermò e difese questa tesi senza cedimenti. Benché altri lo avessero costantemente contraddetto su questo punto, Lutero mantenne la sua critica: la pretesa umana di divinizzare le proprie scelte dà luogo a una religione autoritaria e oppressiva, governata da un clero che vive regolando il rapporto tra umano e divino. Un clero che addirittura arriva a fare mercato di quel rapporto. A questa religione Lutero contrappone nettamente due riflessioni.
Dio riveste della sua giustizia l’essere umano e gli dona novità di vita e libertà. Ma nella croce egli annulla al tempo stesso ogni pretesa dell’essere umano di divinizzare il suo pensiero e di elevarlo al piano assoluto di Dio. Proprio a partire da questa consapevolezza, si apre l’ampio orizzonte della carità. Venuta meno la pretesa dell’uomo di rappresentarsi Dio nelle proprie opere, si dischiude per gli esseri umani la possibilità di una relazione costruttiva. Il Dio che rinuncia persino alla propria divinità per instaurare una novità libera e benevola verso l’essere umano, conferisce con ciò alla società umana un senso di fraternità e di equità, che trova compimento nel reciproco riconoscimento tra le persone. Se prima tutto si concentrava nell’assoluta unità di Dio e nella verticalità del rapporto con lui, ora la prospettiva si fa nuovamente orizzontale, tutto torna ad estendersi e svilupparsi nei rapporti fra creature.
L’idea di libertà e di fraternità è stata raccolta in età moderna e tradotta in politica attraverso istituzioni e «costituzioni» (ad esempio quella americana, quella francese, quella della Repubblica romana del 1848), fino alla nostra stessa Costituzione italiana del 1948, tuttora in vigore ed espressione di valori che meritano di essere preservati e difesi. Questa visione affonda le sue radici proprio nella formula di Nicea, presupposto che l’ha resa possibile.
Includendo il Cristo nella divinità di Dio si fa entrare la croce in Dio. La morte entra nella Trinità, ma viene vinta. E l’essere umano partecipa lietamente di questa vittoria. Questo è il grande tema di Lutero e di tutti coloro che lo seguono. L’essere umano partecipa da erede, come detto. Ma attenzione! Nella croce termina e viene annullata ogni pretesa di trasformare la storia di Dio in storia umana, o la storia umana in storia di Dio. La stretta comunione tra Dio e umanità è una realtà unica in Cristo, non un programma religioso o politico.
Oggi purtroppo la visione di Nicea risulta travisata o addirittura abbandonata, e al suo posto emerge una nuova forma di fideismo, che tende a stabilire una simbiosi tra Dio e storia dei popoli. Questa nuova prospettiva è l’esatto opposto dell’orizzonte aperto dal Concilio di Nicea. In Nicea la benignità divina è universale, non particolare. Perciò di essa godono tutte le creature, e chi offende una creatura, offende Dio. Pertanto, concludendo con un pensiero di bruciante attualità, nessuna guerra è più possibile o pensabile, se non come offesa fatta a Dio stesso.
Tratto da www.chiesavaldese.org