Genova. Ospedale evangelico, nuovo corso di Pastorale clinica
La testimonianza di una tirocinante
Si è tenuta dal 7 settembre al 4 ottobre una nuova edizione del corso intensivo di Clinical Pastoral Education (Cpe) all’Ospedale evangelico internazionale di Genova Voltri, tenuto dal pastore e supervisore in Cpe Sergio Manna.
Cinque i tirocinanti, provenienti da quattro continenti: due cattolici (Asiri Kalpa Wijetunga, prete e cappellano all’Istituto europeo di Oncologia di Milano, originario dello Sri Lanka, e Michela Facchinetti, assistente spirituale cattolica al Fatebenefratelli di Brescia, autrice dell’articolo di questa pagina) e tre protestanti (Kassim Conteh, pastore metodista in servizio nella chiesa valdese di Angrogna, nelle valli valdesi, nato in Sierra Leone; Dianet de la Caridad Martinéz Valdés, pastora cubana in servizio nella chiesa battista di Bari; Maddalena Bochicchio, già capitana dall’Esercito della Salvezza e ora membro della chiesa valdese di Torre Pellice).
Genova. Ospedale evangelico, nuovo corso di Pastorale clinica. La testimonianza di una tirocinante
Di Michela Facchinetti
L’autobus si ferma davanti all’Ospedale evangelico internazionale di Genova Voltri, dove mi sto recando per un corso di Clinical Pastoral Education (Cpe). Ho dei bagagli con me, alcuni doni, emozioni, tanta voglia di iniziare questa esperienza che sento importante. Non so esattamente cosa aspettarmi, non so nulla del mondo evangelico, ma mi incuriosisce la scoperta insieme a un gruppo di tirocinanti che ancora non conosco. Siamo un gruppo direi multietnico, composto da diverse confessioni cristiane, internazionale (anzi intercontinentale), ma ecumenico è forse la definizione migliore: una bella sfida di convivenza e condivisione.
Accolta con tanta premura dal prof. Sergio Manna, all’ingresso in ospedale noto subito una locandina che presenta i cappellani tirocinanti che saranno in servizio dal 7 settembre al 4 ottobre, con le nostre fotografie. Sono stupita, sorpresa da questa organizzazione, forse un po’ spaventata (della serie “qui si fa sul serio”). Vengo accompagnata all’appartamento che condividerò con il gruppo e tutti insieme ci rechiamo in pizzeria, un ottimo benvenuto per creare l’atmosfera giusta e iniziare a conoscerci.
L’indomani ha inizio il nostro percorso alla scoperta dell’ospedale, della sua storia, dei suoi reparti, insieme alla presidente Barbara Oliveri Caviglia e al coordinatore tecnico, Tito Luminati. Con il nostro supervisore scopriamo il programma e gli obiettivi del corso, ci vengono forniti i camici e i cartellini identificativi, una mappa dell’ospedale, l’assegnazione dei reparti e dei relativi codici di accesso, insieme a un manuale personalizzato.
Ogni mattina inizia con un momento focale di raccoglimento, ascolto della Parola, affidamento e preghiera, gestito a turno da noi. Nella prima settimana veniamo presentati ai primari e primarie e responsabili dei diversi reparti e partecipiamo alle lezioni di formazione all’esercizio della cura pastorale a partire dal metodo di lavoro che orienta e definisce la pastorale clinica: ne apprendiamo strumenti, significato, obiettivi, concetti fondanti. Scopriamo e viviamo i tempi che scandiscono le giornate, i momenti di confronto e di lavoro sul gruppo, i compiti che dovremo assolvere, le letture da approfondire, le schede da conoscere, compilare, consegnare, le linee guida per scrivere i verbatim delle visite ai/le pazienti che verranno poi discussi in gruppo e sottoposti alla supervisione, il lavoro che faremo su noi stessi sia nelle sedute di supervisione individuale sia in quelle di gruppo. Ci saranno poi le lezioni a tema con i medici e le infermiere dell’ospedale e soprattutto le visite quotidiane ai malati, dalle quali avremo tanto da imparare.
I primi giorni sono perplessa, titubante sulla scelta fatta, stanca; ma con il trascorre dei giorni tutti ci mettiamo in gioco e piano piano iniziamo a lavorare con impegno e curiosità. Ognuno di noi ha il proprio stile e i propri talenti che scopriamo e raffiniamo, sotto la supervisione costante del prof. Manna, e un comune obiettivo, apprendere e sperimentare un metodo clinico di accompagnamento spirituale, dove ciò che fa la differenza è la qualità dell’ascolto, l’osservazione, l’indagine dei bisogni spirituali, l’elaborazione di una diagnosi spirituale e l’utilizzo di specifici strumenti che favoriscono l’azione di cura.
Il mestiere dell’ascolto, tra professionalità ed empatia
Professionalità ed emozioni sono i due capisaldi che emergono in me; scopro quanto una visita possa essere guidata da strumenti e metodologia e allo stesso tempo dalle emozioni personali e da quelle dei malati, dal loro dolore, dalla fragilità che stanno vivendo. Scopriamo e diamo un nome alla rabbia, alla paura, allo sconforto, al limite, al senso di impotenza, all’abbandono, al lutto…, ma anche alla speranza, alla fede e a una spiritualità più ampia, alla forza dell’ascolto di se stessi e degli altri, attraverso quegli incontri che, quando sono capaci di empatizzare e accogliere, di esplorare quanto ha bisogno di essere espresso da coloro che visitiamo, divengono sananti.
Una professionalità che si fa guida, metodo, umanità; che si fa incontro e occasione di cura; che ci ricorda che ogni essere umano è in cammino sorretto dai propri valori e significati, ma allo stesso tempo portatore di bisogni spirituali universali, al di là del credo e di ogni malattia, ai quali siamo chiamati a rispondere.
Vivo sulla mia pelle cosa accade quando la malattia irrompe e ci costringe a guardare in faccia la nostra fragilità. Incontri autentici che interrogano sul senso del dolore, qualcosa che non possiamo ignorare se non vogliamo smarrire la via della cura e della compassione. In questi giorni vivo quanto il dolore irrompa nelle esistenze senza chiedere il permesso, quanto improvvisamente travolga e spezzi, sorprendendoci sempre e trovandoci sempre impreparati («Non posso fermarmi in ospedale, non mi sono preparata, non ho neppure l’occorrente per lavarmi i capelli, – mi ha detto una signora – devo tornare a casa»). Il dolore non lo scegliamo, ma il modo di vivere la sofferenza è personale come lo è il modo in cui rispondiamo a ciò che accade; è personale il nostro modo di abitare il dolore. Possiamo scegliere chi essere dentro il dolore che ci colpisce. La sofferenza, in questo senso si fa talvolta processo, cammino interiore, possibilità di restare umani, di continuare a sentire, cercare, generare senso, possibilità di rinascere. Se il dolore è impatto devastante, la sofferenza qualche volta è percorso, strada intima e silenziosa. Non si può e non si deve né negare il dolore, né glorificarlo. Accade però, non di rado, di riconoscere anche nel bel mezzo della malattia una possibilità, una luce, una speranza. Il nostro essere qui, il nostro ruolo di cappellani tirocinanti, ci insegna che solo insieme, solo stando nella situazione, la solitudine può aprirsi alla comunione.
Anche nella pratica della cura si apre dunque una prospettiva diversa, quell’esserci per gli altri (di cui parlava Dietrich Bonhoeffer), che caratterizza il modo in cui siamo chiamati, accompagnare.
E allora perfino il tempo della malattia può diventare tempo di preghiera vissuto intensamente, luogo di rivelazione, dove l’umano incontra il divino.
E questo avviene anche per mezzo di chi ogni giorno esercita l’arte della cura, restando accanto, tenendo una mano, facilitando l’espressione di emozioni e sentimenti, perseguendo la guarigione spirituale anche quando non c’è guarigione fisica.
È in queste occasioni che le ferite possono divenire feritoie attraverso le quali far passare la Luce, perché Gesù (che pure ha guarito molti malati) non ha cancellato il dolore, che è parte integrante dell’essere umani, ma ha scelto di abitarlo insieme a noi fino al giorno in cui si compirà la promessa secondo la quale «Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate» (Apocalisse 21, 4) .
Per il dono di questo corso esprimo tutta la mia gratitudine; per l’accoglienza ricevuta, la professionalità e l’umanità vissuta, grazie.