Alle radici del battismo
Anabattismo, discepolato e libertà sono stati oggetto di un convegno alla Facoltà valdese di Teologia, organizzato con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia in occasione del V Centenario del movimento anabattista
Conosciuta anche come Riforma radicale, l’Anabattismo – nato nel 1525 – rappresenta una delle correnti più significative della storia del cristianesimo e, in particolare, della Riforma protestante del XVI secolo. Nel cinquecentenario della sua nascita, la Facoltà valdese di Teologia a Roma ha dedicato a questo movimento il 7 e 8 ottobre scorsi un convegno di rilievo internazionale, organizzato in collaborazione con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi), dal titolo: «Gli anabattisti: una memoria da conservare e una sfida teologica da onorare». Tra gli accademici intervenuti: il dott. Urs Leu di Zurigo; la dott.ssa Astrid von Schachta, Università di Amburgo, il prof. Martin Rothkegel, Scuola teologica di Elstal, la prof.ssa Riccarda Suitner, Università “La Sapienza” di Roma.
Negli ultimi anni l’Ucebi ha avviato una ricerca storiografica per chiarire le origini del battismo e il possibile legame con l’anabattismo del XVI secolo. Il recente libro del pastore Raffaele Volpe (Manuale di spiritualità anabattista, ed. GBU, 2019) ha rilanciato il dibattito, invitando le chiese battiste a riconoscere da un lato la sfida di un cristianesimo vissuto come discepolato personale e responsabile, e dall’altro le distanze da alcune posizioni anabattiste che non rispecchiano pienamente l’esperienza battista.
Nel corso del dibattito, il prof. Lothar Vogel, decano della Facoltà valdese, ha ricordato che la discussione sulle origini dell’anabattismo accompagna la storia della Riforma fin dal Cinquecento. Eventi come la Guerra dei contadini e il regno anabattista di Münster hanno infatti segnato profondamente l’immaginario protestante, lasciando in ombra le correnti pacifiste e spirituali dell’anabattismo. Da fine Novecento a oggi, gli studi mostrano però che l’anabattismo non fu un movimento monolitico, ma una pluralità di esperienze e di idee, spesso in tensione tra loro. Una pluralità che oggi interroga la fede battista: come vivere un cristianesimo autentico, libero e nonviolento, capace di parlare al mondo contemporaneo senza rinunciare alla propria coscienza e alla propria storia?
La riflessione è proseguita affrontando una domanda centrale: chi erano realmente gli anabattisti e quale relazione avevano con il potere? Fino a tempi recenti si conosceva poco della vita comunitaria degli anabattisti zurighesi, ma le nuove ricerche hanno portato alla luce elementi significativi. È emerso, innanzitutto, che gli anabattisti svizzeri disponevano di ampie reti di contatto, estese oltre i confini cantonali e trasversali alle diverse classi sociali. Queste reti permettevano loro di incontrarsi e celebrare il culto ogni due settimane, il sabato sera, nonostante la stretta sorveglianza delle autorità civili ed ecclesiastiche. L’innario Ausband, opuscoli e libretti di concordanza insieme alla Bibbia di Zwingli/Froschauer, dal quale ripresero anche un certo approccio dogmatico, accompagnavano gli anabattisti durante le celebrazioni o gli incontri di lettura per permettere, a chi non sapeva leggere, istruzione e partecipazione. Tuttavia, le loro convinzioni religiose, contenute anche nei sette Articoli di Schleitheim (1527) oltre che nei documenti degli interrogatori, sconvolsero profondamente i parametri dell’ordine politico e sociale della prima epoca moderna, tra cui: la separazione dallo Stato, la nonviolenza, il rifiuto del giuramento, la libertà di coscienza e la maturità personale della fede che furono allora percepiti come minacce all’autorità costituita.
Il battesimo e la Cena del Signore come segni riservati ai credenti autenticamente convertiti, uniti alla pratica della scomunica dei peccatori e al rifiuto di assumere incarichi politici o militari, divennero motivo di aspro contrasto con cattolici e riformati, dando origine a dure persecuzioni poiché gli anabattisti furono giudicati sleali, sospetti e ribelli. Nonostante ciò, questi ultimi parteciparono pienamente a quella che viene definita la “cultura del dibattito” della Riforma. Sermoni, dispute pubbliche, scritti polemici e illustrazioni satiriche testimoniano che, pur scegliendo spesso la via della separazione comunitaria, essi furono attori politici a pieno titolo, capaci di influenzare il dibattito teologico e sociale del loro tempo.
Durante i lavori, il pastore Volpe ha evidenziato il contributo dell’anabattismo alla vita del battismo in Italia, sottolineando tre aspetti fondamentali. Il primo è la partecipazione comunitaria, intesa come koinonía neotestamentaria: una comunione che va oltre la libertà individuale, resa possibile dalla partecipazione di Dio attraverso Cristo. Il secondo riguarda la sequela di Cristo, con una comunità di discepoli e discepole, fratelli e sorelle, che praticano concretamente la predicazione di Gesù. Il terzo punto è la nuova nascita, la creazione di una Chiesa viva, resistente e non addomesticata, nonviolenta, capace di incarnare una teologia della partecipazione, della sequela e della rinascita spirituale.
«Quale riforma? Quale anabattismo?» si è chiesto il prof. Fulvio Ferrario. Secondo il docente, l’identità che cerchiamo emerge solo attraverso narrazioni capaci di essere formalizzate. Ciò che davvero conta, però, è l’identità di Gesù, che nel Nuovo Testamento viene posta come domanda centrale: «Chi dite voi che io sia?». Da questa relazione con Cristo deriva, secondo Ferrario, l’identità stessa della Chiesa, fondata sulla comprensione e sulla risposta alla persona di Gesù.