
Accettare di essere creature di Dio
Un giorno una parola – commento a I Re 8, 27
Salomone disse: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!»
I Re 8, 27
Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità
Giovanni 4, 23
Mi ha sempre fatto sorridere il bisogno di qualcuno di leggere la Bibbia come un testo di scienza e mi farebbe tenerezza se questo non adombrasse derive pericolose. Mi sembra un atteggiamento da bambini, che non riescono a capire il senso di una narrazione, e che hanno bisogno di conferme per non cedere all’angoscia. Vero, la realtà sa essere angosciante, anche nei suoi aspetti più ordinari e normali.
L’alternarsi dei cambiamenti, della vita e della morte nelle loro continue trasformazioni l’una nell’altra, con il loro carico di violenza e sofferenza, ingenera ansia, e la tentazione di sedare quest’ultima tramite facili letture generatrici di comode certezze può essere forte. Ma trarre dalla Bibbia responsi pseudoscientifici equivale a trattarla come un libro di magia e rifiutare uno dei suoi messaggi: la vita deve essere una ricerca sincera della verità, anche perché in essa si concretizza l’accettazione del proprio ruolo di creatura di Dio.
L’idea che un pensiero scientifico possa essere in qualche modo offensivo per Dio implica il retropensiero che in qualche modo lo attinga e lo minacci, come se le nostre opinioni potessero in qualche modo interferire con la sua volontà. È un attribuirsi (forse anche un po’ comicamente) il ruolo di difensore di Dio, come se leggi naturali fossero in qualche modo stabilite a suo dispetto, come se un piccolo essere si arrogasse il ruolo di protettore e di garante della stessa divinità. A ben vedere, l’atto di superbia, non è certo di chi pratica la scienza, ma di chi pretende di rinchiudere nella propria mente ristretta un Dio che né il cielo né la terra possono contenere. Amen.