I 600 anni della Bealera Peyrota

L’importante canale irriguo della val Pellice e la sua lunga storia

 

 È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di luglio del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it. Il numero contiene un dossier dedicato al binomio inscindibile fra Chiesa e Volontariato. Ma qui vi presentiamo un compleanno speciale: compie ben 600 anni infatti la Bealera Peyrota, importante canale irriguo per la val Pellice.

 

 

Correva l’anno 1914 quando il pastore David Peyrot pubblicava sul Bollettino della Società di Studi valdesi un documento risalente al 1503, scritto in latino, nel quale veniva formalizzato quello che può considerarsi il più antico consorzio irriguo della val Pellice per l’utilizzo di quella che oggi è conosciuta come Bealera Peyrota, nota anche come Gora di San Giovanni.

 

La “bealera” è un termine che sta a indicare un piccolo canale artificiale costruito a scopi agricoli. Nello specifico, la Peyrota ha origine con la presa situata nei pressi della località Pont Aut ad Angrogna, passa in località Giovo e prosegue lungo la strada panoramica di Luserna San Giovanni fino al Colletto, giungendo alla borgata Peyrot superiori, dove un tempo era attivo il mulino che diede il nome al canale, che sfocia infine in località Badariotti, a Bricherasio, dove due laghetti ne raccolgono le acque.

 

Ma se il documento citato in apertura rappresenta la regolamentazione del canale, la sua origine è da ricercarsi quasi un secolo prima: nell’atto in questione sono infatti citati sei documenti più antichi, il primo dei quali è datato 16 novembre 1425, ritenuto l’“anno 0” della bealera, esattamente 600 anni fa. «La bealera Peyrota si inserisce nel contesto del grande sviluppo dell’agricoltura avvenuto nel Trecento su tutto l’arco alpino – spiega Ely Peyrot, attuale presidente del consorzio e memoria storica della Peyrota –, che portò le coltivazioni dalla pianura alla prima montagna e poi sempre più in alto. Da qui nacque l’esigenza di irrigare zone prima inutilizzate a tale scopo. Anche l’inizio della Peyrota risale a molto prima del 1425, ma si limitava al territorio di Angrogna. Successivamente il canale fu prolungato progressivamente fino a raggiungere San Giovanni, soprattutto per volere del signore di Luserna che aveva interesse, tra l’altro, a costruire mulini per la macinazione di cereali, noci e altri prodotti. In tempi più recenti la bealera è stata collegata al laghetto in località Badariotti a Bricherasio».

 

Un lavoro duro e difficile, considerando che allora non esistevano le tecnologie e le professionalità odierne e la realizzazione era affidata al sapere contadino, così ricco di risorse. «Le bealere venivano realizzate con grande fatica soltanto con piccone e pala, calcolando le pendenze con metodi rudimentali ma estremamente efficienti. In alcuni punti si è dovuta scavare la roccia per permettere la prosecuzione del canale e oggi possiamo solo immaginare quanto sia stato duro il lavoro».

 

Il documento del 1503, noto al tempo come instrumentum (ossia un atto notarile ante litteram) era finalizzato a regolare la pertinenza dell’acqua tra i singoli proprietari per mezzo delle varie prese d’acqua, stabilire la necessità di costruire delle chiuse per la derivazione dell’acqua nei diversi terreni e di ponticelli per l’attraversamento in punti prestabiliti. Viene inoltre sancito l’impegno a istituire delle roide, ossia dei turni tra i vari membri del consorzio per la manutenzione del canale. Nonostante un regolamento tanto dettagliato, nei secoli furono numerosi i contenziosi tra i soci del consorzio, in particolare tra quelli di Luserna e quelli di Angrogna. Un nuovo regolamento fu emanato nel 1874 e resta tutt’ora in vigore «Fin dalle origini gli abitanti di Angrogna non erano contenti di dare l’acqua a San Giovanni e, nei secoli, sono state molte le diatribe per l’utilizzo dell’acqua che spesso si risolvevano in modo non proprio civile. Tali contese in alcuni casi sono anche documentate da sentenze ufficiali che ancora oggi sono conservate nell’archivio della Società di Studi valdesi».

 

L’avvento dell’era industriale ha sicuramente segnato un cambiamento sociale profondo che ha in qualche modo segnato anche il destino della bealera. La fine del Novecento ha rappresentato l’ultimo sviluppo, con il prolungamento fino a Bricherasio e l’intubazione dell’intero canale. Oggi sono circa 80 i soci del consorzio, ma sono una esigua minoranza a prendersene ancora cura. «L’abbandono dei territori montani in favore di contesti urbani per lavorare nelle fabbriche che progressivamente si moltiplicavano ha portato a un crescente disinteresse verso questo tipo di realtà e molti dei consorziati lasciarono i luoghi d’origine in stato di abbandono. Di conseguenza anche la cura necessaria alla bealera è venuta progressivamente un po’ a mancare. Oggi, con i visibili effetti del cambiamento climatico, sembra che le persone stiano iniziando a dare nuovamente il giusto valore all’acqua e le generazioni più giovani si stanno lentamente riavvicinando ai territori montani e alla loro cura».

 

 

 

Foto: Upslowtour Pinerolese Terra di Bici, Turismo Torino e Provincia