
Anche con la morte, nulla verrà perso di noi
Un giorno una parola – commento a II Corinzi 5, 1
Ricordo i tuoi giudizi antichi, o Signore, e mi consolo
Salmo 119, 52
Sappiamo che se questa tenda, che è la nostra dimora terrena, viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli
II Corinzi 5, 1
“Sappiamo”: viviamo nella certezza che Dio provvede un’alternativa incorruttibile alla presente esistenza vissuta fra sofferenze, pericoli e conflitti: un’esistenza celeste, che prenderà il posto di quella terrena, ma non meno umana. L’immagine comune nel mondo antico e nel nostro di un’anima immortale imprigionata in un corpo mortale è fuorviante. “Questa tenda” è la vita fragile che viviamo nella quotidianità. L’edificio ci parla di una dimensione futura, non meno reale, appartenente alle “cose che non si vedono”.
“Abbiamo” – non “avremo”, perché già da ora siamo certi della risurrezione. Se la nostra “dimora terrena” viene disfatta, abbiamo una casa solida in Dio che ci attende. Siamo incamminati verso la resurrezione, non per essere privati del nostro corpo, ma per essere rivestiti di un corpo glorioso. Non ci perdiamo d’animo, perché per quanto vorremmo vivere pienamente questa preziosa esistenza penultima, sappiamo che ci attende la realtà ultima in Dio, che ricostruirà la nostra vita in maniera sicura e definitiva, se anche dovesse essere distrutta la tenda insicura della nostra storia.
Le immagini che usiamo per parlare di ciò che non abbiamo sperimentato non sono mai del tutto convincenti e bisogna liberarci sia di concetti spiritualistici che materialistici. Vogliamo affermare la bontà e continuità della creazione di Dio e che alla resurrezione nulla verrà perso di noi sul piano della nostra identità e degli affetti: il Dio fedele alla creazione mantiene la nostra personalità, ciò che l’io con i suoi strati più profondi è stato nel corpo vivo, animato dal suo Spirito.
Il contrasto cielo – terra non va inteso come dualismo “spirito – materia” o “corpo – anima”, ma contrappone il permanente al temporaneo: dall’esistenza oppressa da malattia, ingiustizia e peccato, all’età futura glorificata nel Dio dei vivi. Cristo, la primizia, ci precede. Ci consola questa certezza, confermata dai giudizi antichi di Colui che affermò “Io Sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Amen.