Jack Folla è online

Da oggi dopo venticinque anni dalla prima e ultima messa in onda in tv l’autore di Jack Folla pubblicherà con cadenza settimanale le 25 puntate di «Alcatraz» 

 

Diego Cugia (Jack Folla)

 

Nel luglio del 2000 andò in onda in tv su Rai2 «Jack Folla Alcatraz – Un DJ nel braccio della morte».

 

Si era da poco conclusa la prima stagione della sua epopea radiofonica a Radio2: oltre 500 puntate in cui Jack, da un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti, aveva diffuso controinformazione in difesa degli oppressi, dei poveri, dei diversi, dei «paria» del terzo millennio, globalizzato da un capitalismo che già si annunciava senza più regole né limiti.

 

La sua voce, quella di Jack (Roberto Pedicini, doppiatore, ne era lo strepitoso interprete), e i racconti autobiografici imbevuti di verità (era la mia vita, solo un po’ romanzata) convinsero la maggioranza degli ascoltatori che si trattasse di un autentico detenuto italo-americano in attesa di salire sulla sedia elettrica.

 

Un uomo che, non avendo ormai più nulla da perdere, si rivolgeva a loro come nessun presentatore aveva mai fatto, con una schiettezza feroce e una trasparenza assoluta, incitandoli a rivoluzionarsi contro il nemico peggiore di tutti, quello interiore, l’ego e il suo raglio d’asino «Io-io-io», e raccontando semplicemente le cose come stavano, facendo nomi e cognomi degli «oppressori»: politici, giornalisti, pubblicitari, boss della finanza e dell’imprenditoria, divi e divetti della tv.

 

E più Jack si faceva nemici potenti più la gente semplice lo amava. Perché la sua era una comunicazione sottopelle, diceva quelle cose urticanti che sui giornali non si leggono o sono liquidate in tre righe come fatti irrilevanti, mentre su quelle tre righe ci potresti scrivere un reportage.

 

Jack era documentatissimo.

 

I testi e le notizie spulciate dai quotidiani di tutto il mondo erano scritti da me, da un giornalista di razza come Andrea Purgatori, ma anche da Stefano Micocci, da Adelchi Battista, Alessandro Mosca, Paoletta Roli e da una squadretta di giovani ricercatori che bisognerebbe fargli un monumento e soprattutto dal pubblico stesso, sollecitato dallo stesso Jack a fargli da corrispondente e a denunciare piccoli e grandi orrori vissuti da loro personalmente.

 

Ma in che modo il DJ nel braccio della morte riusciva a scuotere le coscienze addormentate e addomesticate dalla tv, come aveva predetto con implacabile esattezza Pasolini?

 

Un giorno, per esempio, Jack raccontò di essere stato molestato da un prete da bambino. Era la verità. […]

 

[…] La stagione televisiva di «Alcatraz», come dicevo, ebbe vita breve e assai tormentata. Era un programma pensato per la seconda serata: Jack, latitante evaso dal carcere, girava con una telecamerina per le strade di Cuba senza mai mostrare il suo volto e i monologhi erano tappezzati d’immagini rubate dal cinema, dalla tele, dalla pubblicità e montati a velocità vertiginosa, come fanno le menti degli ascoltatori quando sentono Jack alla radio.

 

Carlo Freccero, direttore di Rai2, ebbe invece la folle idea di mandarlo in onda alle 20, contro le corrazzate dei telegiornali. Amo Carlo, capace di idee formidabili, purtroppo questa si schiantò contro un muro altrettanto formidabile, quello del pubblico di famiglie che a cena, se non guardava il telegiornale, guardava Tom e Gerry su Rai2.

 

E se incappa in immagini terribili (come il cadavere torturato di Biko, il Gesù nero crocifisso dai bianchi) o sente la voce di un tizio senza faccia che lo esorta a entrare in rivolta interiore, cambia canale a velocità supersonica.

 

Così Jack Folla, in prima serata, fece più o meno lo striminzito ascolto di quel «cartoon» che aveva sostituito. Il Corriere, la Repubblica, il Messaggero, la Stampa che, con interi paginoni, avevano contribuito a salvare Alcatraz dalla chiusura, dalla censura, dal fuoco di fila delle interrogazioni parlamentari, bollarono il programma televisivo come un «flop».

 

A quel punto, amen, calò la mannaia, sospensione in fretta e furia dopo tre o quattro puntate, il nostro ufficietto a Saxa Rubra chiuso e sigillato all’istante, con dentro ancora le borsette delle assistenti al programma, le mie agende, i soprabiti. Alla fine, di notte, lo riaprirono solo per permetterci di portare via le nostre cose. Ficcai in due sacchi della spazzatura 25 bobinoni della Sony con la copia dell’edizione integrale. Ero l’autore e il regista di Alcatraz ma dovetti occultarle come un ladro. Mi trovai costretto a farlo perché intuivo che quella serie sarebbe diventata una «desaparecida» dei palinsesti e nessuno ne avrebbe saputo più nulla.

 

Poi, però, accadde un piccolo miracolo. Pier Luigi Celli, allora direttore generale della Rai, lo fece mandare in onda alle 23, talvolta a mezzanotte, contro il volere di molti alti e irosi dirigenti che lo mettevano in guardia dai pericoli ai quali andava incontro. […]

 

[…] Quell’estate su Rai 2 fu aspra e bellissima. Ero convocato di continuo al settimo piano. Ero sbalordito che un programma così breve, 25 minuti scarsi, potesse suscitare tanto rancore. Nessun giornale parlò mai più di Jack. Anche se “flop” non fu manco per niente. Anzi, gli esperti di Auditel mi dissero stupefatti che, un minuto prima dell’inizio del programma, uscivano i telespettatori di Rai 2 ed entravano un milione e mezzo, due milioni circa di persone che non guardano mai la tele.

 

Un piccolo esercito (il 14% di share) che assisteva compatto alla proiezione e spegneva il televisore dopo i titoli di coda. “Sono l’ultima fetta di pubblico che i pubblicitari vorrebbero catturare” mi dissero “gli ultimi mohicani che non hanno mai acquistato un prodotto reclamizzato in tv”. Ma nessuno convocò più quella piccola squadra di autori e, finita l’ultima puntata nel sollievo generale, Alcatraz è stato rinchiuso nell’archivio più blindato e segreto della Rai. Perché non una replica né un solo fotogramma è mai andato più in onda in un quarto di secolo.

 

Luglio 2000-luglio 2025. Nella ricorrenza dei venticinque anni ho deciso d’invitare le amiche e gli amici che allora avevano venti o trent’anni nel salotto di casa mia, per rivederlo e per farlo vedere ai loro figli che, all’epoca, erano bambini come i miei. Gratuitamente, senza pubblicità, senza alcuno scopo commerciale, ma solo per il piacere emozionante di rivedere insieme una delle stagioni più libere e in rivolta della nostra vita.

 

L’operazione di restauro è stata faticosa onerosa e difficile. Grazie all’aiuto di mio figlio Francesco, tecnico audio-video, abbiamo dovuto rimixare da capo 25 puntate. Perché in tutta Italia non c’era più nessuno che possedesse il desueto e costoso macchinario in grado di convertire quei 25 bobinoni Sony in un formato digitale.

 

Ma alla fine, come nelle favole, ho trovato un anziano maestro dei suoni che lo conservava come un reperto archeologico. E dopo un mese di lavoro (sotto affettuoso ricatto “O glielo faccio io o Alcatraz non lo vedrà mai più!”) mi ha restituito il tutto, restaurato con gli acidi o non so come diavolo, ma da rimontare da capo.

 

Nel rimettere mano sull’edizione integrale mi sono commosso, indignato e emozionato.

 

I problemi denunciati da Jack sono rimasti quasi tutti irrisolti. Povera patria, come cantava Franco Battiato. Ma, delle due l’una: o sto invecchiando o Alcatraz era bello davvero. E la musica di Jack spettacolare. Dato che il salotto di casa mia non è abbastanza grande, potrete vederlo solo ed esclusivamente sul mio sito personale: www.diegocugia.com a partire da domani, mercoledì 9 luglio, con le prime tre puntate.

 

Ogni mercoledì ne aggiungerò altre tre, così che potrete trascorrere «Un’estate con Jack Folla in tv». E con Francesca Neri, brava e bellissima «ragazza della folla» di Jack, venuta all’Avana per un mese e mezzo a vivere con noi quell’avventura e a dare un volto ai nostri sogni più romantici e ribelli.

 

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