Una porta aperta che non sarà mai chiusa

Un giorno una parola – commento ad Apocalisse 3, 7-8

 

 

La mia carne e il mio cuore possono venir meno, ma Dio è la rocca del mio cuore e la mia parte di eredità, in eterno

Salmo 73, 26

 

 

Giovanni scrive: «All’angelo della chiesa di Filadelfia scrivi: Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre: “Io conosco le tue opere. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome”».

Apocalisse 3, 7-8

 

Quante porte chiuse incontriamo nella nostra vita.

Quante porte socchiuse che speriamo si spalanchino e invece si sprangano.

Quanti sforzi per aprire porte che ci sembrano determinanti per il nostro benessere, per il nostro futuro, per la nostra speranza.

Quanta energia per tenere aperte queste porte nella convinzione che almeno uno spiraglio di luce proveniente da quella fessura possa portare il nuovo che cerchiamo e di cui abbiamo bisogno.

 

E così ci identifichiamo con la chiesa di Filadelfia a cui Gesù Cristo pone davanti una porta aperta che non sarà mai chiusa. Una porta che non dobbiamo sforzarci di aprire, né di tenere aperta; una porta che ci sembra di poter attraversare agevolmente perché non vengono richiesti requisiti particolari: non serve la forza (Gesù sa che ne abbiamo poca) ma solo serbare la sua parola e non rinnegare il suo nome.

 

Eppure, quel confidare nella sua parola affidandosi a lui ci mette comunque in difficoltà. Proprio perché senza forza, corriamo il rischio di cedere, tentennare, faticare a riconoscere la sua promessa e la sua presenza, e questo potrebbe significare veder svanire la nostra unica possibilità di salvezza.

Ma Gesù non dice che la porta resterà aperta finché non lo rinnegheremo o non dimenticheremo la sua parola: la sua offerta non è condizionata da quanto noi riusciremo ad essere fedeli, dalla nostra capacità di resistenza. Il suo è un dono che viene in soccorso di chi, senza forza, si affida a lui e ricerca nella sua parola la speranza certa della propria esistenza. È proprio nel riconoscere davanti a lui la nostra debolezza e inadeguatezza, nell’affidarci alla sua parola, che si compie per noi la sua promessa: la porta è aperta e non si chiuderà. Amen.