
Alberto Trentini ancora nel limbo
L’appello della madre alla stampa italiana: «Vi prego, non stancatevi di parlare di lui»
«Questa volta sarete voi giornalisti ad aiutare a far liberare Alberto». Questo è l’appello lanciato da Armanda Colusso Trentini, la mamma di Alberto, il cooperante arrestato in Venezuela il 15 novembre 2024, in occasione della conferenza stampa convocata presso la sede dell’Ordine nazionale dei giornalisti a Roma in collaborazione con Articolo 21.
«Si deve parlare di mio figlio come si è fatto per altri italiani che, grazie anche al clamore mediatico, hanno fatto ritorno a casa. Vi prego non stancatevi di parlare di Alberto. Sono certa che chi ha il potere di far liberare mio figlio con una forte pressione mediatica si adopererà senza più tentennamenti».
Un appello a non dimenticare Alberto, a illuminare la sua vicenda, lanciato nella sede del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti (Cnog) a Roma, alla presenza del Presidente Carlo Bartoli, della Segretaria Paola Spadari, con l’avvocata Alessandra Ballerini, Don Luigi Ciotti, Beppe Giulietti e gli onorevoli Rachele Scarpa, Gianni Cuperlo e Giuseppe Provenzano (Pd).
«Desidero dirvi che questa conferenza l’ho chiesta assieme all’avvocata Alessandra Ballerini – ha esordito Armanda Trentini – perché ho la convinzione che questa volta sarete voi giornalisti ad aiutaci a far liberare Alberto, in prigione da quasi 7 mesi. Si deve parlare di mio figlio come si è fatto per altri italiani che fortunatamente anche grazie al clamore mediatico hanno fatto ritorno a casa. Vi prego non stancatevi di parlare di Alberto finché non me lo porteranno a casa! Sono certa che chi ha il potere di far liberare mio figlio, con una forte pressione mediatica, si adopererà senza più tentennamenti.
Alberto era – e uso l’imperfetto perché dopo sei mesi e mezzo di prigionia non so come sarà ora -, era dicevo, un ragazzo normale, sereno e pieno di ideali. Ha iniziato la sua attività in America Latina con il servizio civile nell’isoletta di Muisne Ecuador.
Aver svolto il servizio civile in quell’isoletta è stata un’esperienza che ha segnato positivamente la sua vita e che in qualche modo ha deciso il suo avvenire, perché gli ha fatto conoscere da vicino situazioni di persone in difficoltà, che con l’aiuto delle Ong potevano cambiare la qualità della loro vita.
Ha poi lavorato come cooperante in Bosnia Herzegovina, Ecuador, Etiopia, Paraguay, Nepal, Grecia, Perù, Libano e Colombia. Ha frequentato il liceo scientifico, ha preso la laurea in storia, ha frequentato l’Erasmus a Parigi, un periodo scuola lavoro in Australia, ha un diploma in assistenza umanitaria conseguito a Liverpool ed un master in acqua e sanificazione ingegneristica presso l’Università di Leeds (Eng).
Al ritorno dalle missioni ritrovava la sua famiglia, gli amici e amava immergersi nella natura e leggere. Scorreva così la sua vita, fino a scegliere nell’ottobre del 2024 il Venezuela con un progetto con la Ong Humanity e Inclusion.
Dopo appena tre settimane, è stato arrestato ad un posto di blocco a Guasdualito assieme all’autista della ONG che lo aveva accolto all’aeroporto.
Ci avviciniamo ai sette mesi, sette mesi di prigionia inaccettabili per noi, insopportabili per lui. Potete immaginare le notti insonni di una madre che non sa rassegnarsi, al disagio che viviamo perché il papà di Alberto, nei momenti di sconforto, mi sussurra che teme di non fare in tempo a rivedere Alberto. È vero che 25 giorni fa dopo 6 mesi di isolamento, Alberto ci ha telefonato e parlato per pochi minuti. Ora però è calato di nuovo il silenzio. La gente che ci è vicina è convinta che ormai Alberto sia in viaggio per tornare a casa. Pensano che sia solo questione di giorni, ma i giorni passano e Alberto ancora non torna. Abbiamo promosso insieme agli amici vecchi e nuovi molte iniziative di sensibilizzazione (raccolta firme, digiuno a staffetta, pedata, camminata ecc.) ma ancora non bastano.
Ora provo a darvi le consegne: scrivete, parlate di Alberto, perché quel qualcuno che non si è attivato a dovere fino ad ora dovrà sentirsi motivato, senza più esitare, a fare l’impossibile per riportare a casa questo figlio di cui l’Italia deve andare fiera».