
«La scelta» di Sigfrido Ranucci
Il giornalista d’inchiesta e conduttore del programma «Report» aprirà domenica 8 giugno la kermesse Una Torre di libri a Torre Pellice. La nostra intervista
Una “Torre di libri“, Festival culturale del comune di Torre Pellice (To) organizzato dalla libreria Claudiana e dall’Associazione Diversi Sguardi con il sostegno dell’Otto per Mille della Chiesa valdese festeggia quest’anno la sua diciottesima edizione. L’appuntamento – che vede la collaborazione del nostro settimanale Riforma -Eco delle valli valdesi – si terrà quest’estate, da giovedì 10 a domenica 13 luglio. L’anteprima domenica presso il Teatro del Forte di via al Forte 3 con un grande nome del giornalismo italiano: Sigfrido Ranucci. Il conduttore del programma «Report» di Rai Tre si racconterà al pubblico grazie al suo libro, La Scelta. Lo abbiamo intervistato.
Il libro La Scelta contiene alcune delle inchieste giornalistiche più celebri e ciò che ha comportato realizzarle. Il volume è un concentrato di riflessioni, storie di vita e di amore. Purtroppo anche di tante malefatte.
«Un libro – ci dice Ranucci – che è un atto d’amore nei confronti della resilienza, quella quotidiana, impiegata per mantenere alta l’asticella della libertà di stampa, che credo che sia un valore inalienabile dell’uomo. Altresì, lo ritengo un doveroso omaggio rivolto alle tante persone che con il loro senso civico e morale hanno sostenuto il mio impegno e contribuito alla mia formazione, sia umana sia professionale. Alcuni di questi – prosegue Ranucci –, sembrano emergere dagli interstizi del grande romanzo della vita. Persone che ho incontrato casualmente, e che talvolta inconsapevolmente sono state determinanti per il successo di alcune delle mie inchieste. Altre, invece, consapevolmente grazie alla loro coraggiosa “scelta” di aver voluto parlare, raccontare e denunciare».
A esempio?
«Un vagabondo che mi ha aiutato a trovare una chiave di lettura per realizzare l’inchiesta più importante della mia carriera, quella nella quale ho denunciato l’utilizzo di armi chimiche da parte degli Stati Uniti in Iraq, o ancora il tassista che mi aiutò a recuperare dalla Pinacoteca dei Tanzi i quadri comprati con i soldi degli azionisti della Parmalat e portati in Svizzera – per un valore di cento milioni di euro».
È un azzardo dire che il suo libro è un biglietto di viaggio: un pretesto per incontrare tante persone e comunità. Una sorta di passaporto di prossimità?
«È una chiave di lettura che condivido: un passaporto che mi ha permesso di recuperare le energie, il contatto con le comunità, con tante persone che mi stanno dando forza. Se mi permette, le racconto cosa mi è successo a Modena. Una storia straordinaria. Al termine della presentazione del libro si è avvicinata una signora e mi ha consegnato tra le mani una lettera, quella della figlia Miriam; ingenuamente le ho detto di ringraziarla da parte mia. La figlia però non c’era più, era morta la settimana precedente: divorata a soli vent’anni da un tumore. La madre mi ha detto che negli ultimi due aveva guardato tutte le puntate di “Report” e aveva sentito l’esigenza di scrivere una lettera nella la quale voleva ringraziare la redazione e ricordare il valore del nostro lavoro per la collettività, per il bene comune. Credo che questi gesti, questi attestati di stima e di amicizia, ripaghino e addolciscano l’amarezza che talvolta ci attanaglia quando riceviamo attacchi».
Un insegnamento anche per chi guarda il programma senza cogliere quanto lavoro ci sia dietro alle vostre inchieste giornalistiche…
«Il messaggio di Miriam amo ricordarlo spesso, perché credo sia un messaggio universale per tutti. Non sottovalutiamo mai i piccoli gesti, perché possono essere e fare la differenza; far cambiare la qualità stessa della vita».
Dall’altra parte dello schermo chi osserva con attenzione però avverte la fatica …
«Noi siamo dietro allo schermo è vero, ma siamo anche dentro “alla pancia” del paese».
Nel libro lei cita più volte due professionisti: Roberto Morrione (fondatore di Rai News 24 e grande giornalista d’inchiesta dalla schiena dritta) e Milena Gabanelli, che le ha lasciato il testimone e la conduzione del programma.
«Roberto e Milena sono professionalmente mio padre e mia madre. A Roberto devo tanto, mi ha insegnato il coraggio. Un coraggio che ha mostrato anche quando difese l’inchiesta su Falluja, un’inchiesta che credo che pochi direttori avrebbero concesso; e lo ringrazio per il fatto di avermi insegnato a giocare sempre a carte scoperte quando si realizzano interviste e inchieste, insomma, con il suo esempio ha mostrato com’essere leale con il soggetto o la persona in oggetto nell’inchiesta; soprattutto, ha sempre ricordato che il pubblico è l’unico editore di riferimento. Non il politico di turno, il partito di riferimento, insomma, il potere costituito che propone il suo pensiero unico dominante. Di Milena, invece, ho sempre apprezzato il rigore morale e la sua capacità di tenere una posizione ferma; una postura irremovibile anche di fronte alle continue pressioni dovute alle sue inchieste. Inchieste sempre puntuali e realizzate senza mai fare sconti a nessuno, e in prima serata. La sua resilienza, la sua grande intuizione e capacità di cercare e proporre temi e argomenti – che sulla carta avevano il sex-appeal del manuale di una caldaia – che poi riuscivano a fare grandi ascolti, proprio perché capaci di toccare e illuminare le parti più oscure nostro del paese».