Un pastore nella storia del monachesimo

Evagrio Pontico, un maestro che formava i suoi monaci con le sue sentenze

 

Il monaco Evagrio Pontico (345 ca. – 399) sapeva comunicare, segnatamente ai suoi monaci (e ai suoi lettori), attraverso le sue sentenze (apoftegmi), come «riconoscere i sintomi specifici di ogni malattia interiore» al fine di mettere in atto le «necessarie contromisure»; quasi un rapporto da maestro-medico al discepolo-paziente. Fra le 16 opere ascetiche attribuitegli, Città Nuova ne ha data alla stampa Gli otto spiriti della malvagità*, testo a fronte, a cura del patrologo Diego Marchini*.

 

Gli eventi. Figlio di un corepiscopo (un vescovo a governo di una circoscrizione ecclesiastica rurale sottoposto a un vescovo di città), ordinato diacono da Gregorio di Nazanzio, gli fa da segretario e coadiutore nel Concilio di Costantinopoli (381). Qui, si guadagna fama circa la confutazione delle dottrine ariane in forza di una profonda padronanza del linguaggio teologico. Evagrio, infatti, fu un attento “ascoltatore” della filosofia e della teologia coeva. «Egli, dunque – sottolinea Marchini – non dimenticò la sua preparazione e la sua cultura, impegnandosi a farne uso per insegnare con grande umiltà. Fu anche un noto padre spirituale, al quale molti facevano visita per ricevere consigli e avere “una parola” che li aiutassero a crescere e migliorare».

 

I contenuti de Gli otto spiriti della malvagità. Si tratta di raccolte di sentenze, destinate soprattutto ai monaci, che hanno a modello i libri sapienziali della Scrittura – nell’insieme, brevi, semplici, da memorizzare e dalle radici bibliche. «Qui non si trovano parti di contenuto più teorico o che cerchino di spiegare la teologia e l’antropologia che stanno a monte di quanto l’autore scrive: si tratta semplicemente della testimonianza dell’esperienza di un asceta, che dalla pratica propria e degli altri padri del deserto trae esortazioni, ammonimenti e consigli». «Evagrio – precisa Marchini – utilizza un gran numero di immagini». Così si esprime in una epistola: «“Conviene a quanti si apprestano a camminare per la via che ha detto ‘io sono la via e la vita’ (Gv 14, 6), imparare da coloro che vi hanno camminato prima e parlare con loro di quel che profitta e ascoltare da loro quel che aiuta, senza che noi vi introduciamo alcunché di estraneo al nostro cammino”».

 

La struttura. Ogni singolo capitolo si apre con la definizione del rispettivo vizio definito, appunto, da immagini veicolate da esperienze quotidiane, dai testi scritturali, da artefici retorici – il tutto mirato alla memorizzazione per scolpire il testo «nella mente e nel cuore». Gli otto vizi capitali corrispondono voracità, fornicazione, amore per il denaro, ira, tristezza, accedia, vanagloria, superbia.

 

La voracità. «1. Principio del frutto sono i fiori/ e principio della vita pratica è l’astinenza// 2. Chi trattiene il ventre diminuirà i vizi,/ infatti chi è vinto dai cibi aumenta i vizi// 5. Molta legna solleva una gran fiamma,/ ma l’abbondanza dei cibi nutre i desideri».

 

La fornicazione. «1. L’astinenza partorisce la castità,/ mentre la voracità è madre dell’incontinenza// 2. L’olio nutre la luce della lucerna/ e la frequentazione delle donne infiamma chi nutre desideri sensuali».

 

L’amore per il denaro. «L’avidità del denaro, o avarizia, è la radice di tutti i mali/ e nutre, come rami dannosissimi gli altri vizi/ Se recidi un ramo, subito ne butta fuori un altro/ e non permette che si dissecchi ciò che nasce da essa.».

 

L’ira. «1. L’iracondia è un vizio tipico della pazzia/e quelli che la hanno vengono resi folli facilmente./ Rende l’anima bestiale/e fa evitare ogni frequentazione».

 

La tristezza. «2. La tristezza è la bocca di un leone/ e divora facilmente chi è rattristato// 3. La tristezza è un vermicello del cuore/ e mangia la propria madre: il profondo del cuore».

 

L’accidia. «1. L’accidia è il venir meno dell’anima,/ ma l’anima vien meno quando non ha il vigore naturale della mente/e non può resistere con forza alle tentazioni./ Proprio ciò che il cibo fornisce a un corpo sano,/ questo offre anche la tentazione a un’anima forte».

 

La vanagloria. «1. La vanagloria è un vizio privo di razionalità/ e si innesta su ogni opera buona.//3. L’uva trascinata quasi a terra marcirà piuttosto rapidamente/ e la virtù scompare quando si unisce alla vanagloria».

 

La superbia. «1. La superbia è un gonfiore dell’anima pieno di putredine:/ se maturerà, scoppierà e farà molto ribrezzo.// 3. L’anima del superbo è elevata in alto/ e da lì viene precipitata nelle profondità degl’inferi».

 

Questa edizione italiana – prima traduzione critica di due antiche versioni latine quasi certamente databili al V-VI secolo – offre al lettore, specialista o meno, una panoramica a tutto campo su un testo del primo monachesimo orientale. Oltre a una Bibliografia molto estesa, comprende una Appendice con un glossario dei termini appartenenti al lessico monastico nelle versioni latine de Gli otto spiriti della malvagità e quattro Indici: biblico, delle opere di Evagrio Pontico, dei nomi antichi e degli autori moderni.

 

 

* D. Marchini (a cura di), Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità. Roma, Città Nuova, 2024, pp. 310, euro 32,00.