
La santità di Dio
Un giorno una parola – commento a Isaia 6, 3
«Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!»
Isaia 6, 3
L’angelo diceva con voce forte: «Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque»
Apocalisse 14, 7
Innanzitutto, dovremmo assaporare, indugiando un poco su queste parole, l’atmosfera di solennità che esse evocano. Il luogo è maestoso, non per l’arditezza architettonica o per la bellezza artistica umane, ma per la maestà divina di chi vi abita. Si tratta della celeste sala del trono di Dio.
Dio siede sul trono nel pieno esercizio del suo assoluto potere universale. La sua corte celeste è dietro di Lui ed accanto a Lui volano i serafini che lodano la santità e la gloria di Colui che siede sul trono. Tutto trasuda maestà, potere, gloria.
A questa visione partecipa Isaia, perché il Signore dell’universo ha deciso di mandare la sua Parola al popolo, ed essa viene affidata al profeta.
La santità di Dio riguarda i suoi decreti e le sue decisioni, così come la gloria riguarda la potenza delle sue azioni; per questo, anche sul colle del Golgota, «per il determinato consiglio e la prescienza di Dio» (Atti 2, 23), abbiamo assistito alla rivelazione della medesima santità dei decreti divini e alla manifestazione della medesima gloria: «perché il Dio che disse: “Splenda la luce fra le tenebre” è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio, che rifulge nel volto di Gesù Cristo» (II Corinzi 4, 6).
Anche se Gesù, il Cristo di Dio, ci ha fatto conoscere un Dio vicino, presente, coinvolto; e lo ha mostrato su un colle spazzato dalle intemperie, tumefatto in volto, ferito nel corpo, “languente di dolor”, abbandonato dai suoi, attorniato da malfattori e da una folla rabbiosa, ed infine con il capo abbandonato esanime alla morte, Egli non ha perso la sua dignità e le sue prerogative divine; Egli soltanto «pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sottoterra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre»(Filippesi 2, 6-11). Amen.