
Résister. Persone rese invisibili
L’appuntamento di maggio con la nuova rubrica di Riforma, dedicata alle donne che resistono
La Corte Suprema del Regno Unito, con una sentenza del 16 aprile scorso, ha stabilito che può definirsi donna soltanto chi ha un sesso femminile attribuito alla nascita. Ne consegue che le donne trans, di fronte a presunti casi di discriminazione in base al genere, non possono più essere considerate donne. La sentenza è stata oggetto di un grande dibattito fra le femministe, fra chi esultava perché «gli spazi conquistati dalle donne vanno difesi» e chi faceva notare che allargare i diritti ad altre categorie discriminate non limita nessuna ma, anzi, garantisce più libertà a tutte e tutti.
Decidere che cosa è un corpo di donna, almeno finché non è arrivato il femminismo, è sempre stata prerogativa del potere maschile. Le donne non potevano votare o difendere cause in tribunale perché isteriche (cioè avevano un utero e il ciclo mestruale che le destabilizzava); per secoli sono state viste soltanto come madri, se non addirittura semplici incubatrici o fabbriche di soldati per la patria. Incasellare le donne per controllarle, delineare un perimetro intorno ai loro corpi per evitarne l’evasione a danno del potere dominante è da sempre una prerogativa del patriarcato, non certo di altri gruppi discriminati e invisibilizzati come le persone trans.
Il patriarcato, lo sappiamo, è alleato con le destre, che ovunque cercano di reprimere i diritti delle donne (come sempre è stato), delle soggettività lgbtq, come di ogni altro gruppo marginalizzato per motivi sociali, economici, sessuali: limitare l’autodeterminazione delle donne e di chiunque sfugga alla norma eterosessuale è il primo passo per attaccare la democrazia. È da questa cultura politica (molto abile a sfruttare le divisioni nel femminismo) che viene il pericolo, e non dalle donne trans, che a causa delle ricadute simboliche e politiche della sentenza britannica sono oggi ancora più esposte ai rischi della violenza sessista.
«Prigione femminile dal 1730, la Torre di Costanza in Francia ospitò 88 donne colpevoli di non voler abbandonare la fede protestante. Marie Durand, incarcerata nella Torre per 38 anni, incise o fece incidere la parola résister, resistere».