
Le passioni della guerra partigiana
La recensione di Storia passionale della guerra partigiana di Chiara Colombini
Il successo editoriale della Storia passionale della guerra partigiana di Chiara Colombini era intuibile fin dai primi commenti attorno alla sua uscita nel 2023. Il saggio, oggi in edizione economica, è già considerato un riferimento nel dibattito sulla Resistenza. La sua originalità sta non soltanto nell’affrontare la storia dal basso attraverso le lettere, i diari, i messaggi di servizio fra le bande partigiane, ma soprattutto nella selezione dei materiali, una scelta che ammette esclusivamente gli scritti prodotti a caldo, limitati cioè al periodo 1943-45.
I protagonisti si esprimono nel momento della tensione e del pericolo, in qualche caso nell’attesa della morte, quindi vivendo una prospettiva corta, limitata al presente, senza la visione ampia del grande fenomeno storico analizzato con il senno del poi. Sono testimonianze a volte frammentarie e disordinate nella forma: immagini istantanee in cui vengono impresse le emozioni di chi è gettato traumaticamente in un’avventura spesso non cercata, dove abitudini, relazioni, visioni etiche sono stravolte.
La ricerca esclude i testi e i diari successivi alla Liberazione, talvolta condizionati da politiche e linguaggi nuovi. Conta invece la rappresentazione anteriore al 25 aprile, quando i partigiani che combattevano il più forte esercito europeo, quello tedesco, limitavano la prospettiva alla propria collina o al borgo urbano, lontani dall’immaginare la vittoria.
Chiara Colombini, fra l’altro responsabile scientifica dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” (Istoreto), componente del comitato scientifico dell’Istituto “Ferruccio Parri” di Milano, raccoglie senza filtri storie di donne e uomini che non lottano per apparire eroi, e che non nascondono debolezze, contrasti, dubbi.
Giaime Pintor, giovane studioso della cultura tedesca chiamato a una luminosa carriera di intellettuale, tra i primi collaboratori dell’editrice Einaudi, muore a 24 anni su una mina tedesca nel dicembre 1943 mentre cerca di raggiungere il sud per organizzare la resistenza. Nei giorni precedenti Pintor scrive: «L’idea di andare a fare il partigiano in questa stagione [invernale] mi diverte pochissimo; non ho mai apprezzato come ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un buon traduttore e un buon diplomatico, ma un mediocre partigiano. Tuttavia è l’unica possibilità aperta e l’accolgo».
Un altro intellettuale, Giorgio Agosti, commissario politico regionale di Giustizia e libertà, lamenta di non avere il tempo di elaborare con calma un pensiero politico ben strutturato, di poter scrivere documenti in bello stile alla scrivania fumando nervosamente sigarette come nei film, perché travolto dalla realtà più prosaica: è necessario infatti trovare cibo e scarpe per chi lotta, produrre documenti falsi, scovare alloggi vuoti da trasformare in rifugi, sempre con la polizia che t’incalza, e soprattutto occorre procacciarsi carta, molta carta per le comunicazioni, i volantini, i giornali clandestini. La carta è un bene prezioso che richiede attenzione, perciò Agosti reagisce seccamente a Dante Livio Bianco che si lamenta della lentezza di approvvigionamento: «Capisco che un soldato, una volta letto il giornale, si pulisce il sedere col medesimo; ma mi raccomando a te perché questo succeda solo dopo che almeno cinque o sei lo hanno letto».
Interrogarsi sulle passioni, sulle reazioni agli episodi più cruenti della guerra, sulle relazioni personali fra chi vive in banda è una chiave insostituibile per capire che cosa abbia spinto uomini e donne pacifiche a rischiare tutto. Si scoprirà che proprio da quelle passioni sono nate occasioni di confronto fra classi e ideologie prima separate da alte mura, un confronto che a sua volta ha creato le regole di una vita comunitaria nuova, che affrancandosi dalla dittatura si avviava verso istituzioni democratiche inedite.
Le pagine del libro mostrano la paura dei protagonisti in attesa del combattimento, della cattura, della tortura, della morte, paura tanto più viva quanto apparentemente repressa. E quindi le ossessioni, gli incubi, il dolore per la perdita dei compagni, la disperazione, l’odio, la voglia di vendetta, l’ansia di giustizia, l’eros. Si fanno avanti questioni etiche laceranti che la vita normale non ha mai lasciato supporre: come reagisce un partigiano credente, cristiano, di fronte alla necessità di giustiziare un prigioniero che chiede pietà in ginocchio, seppur colpevole di crimini orrendi? Nulla di quanto accade è più neutro.
Scrive Colombini: «L’esperienza vissuta nella Resistenza cambia le persone. Sono le situazioni che vivi, le decisioni e le responsabilità che devi prendere, i rischi che affronti, il dolore che attraversi, le persone che incontri, quelle che perdi, che ti fanno dare un nome e una direzione a ciò che speri, che ti fanno comprendere chi sei e che cosa vuoi fare».
Questa prospettiva è uno strumento in più per difendere la Storia dalle distorsioni interpretative del presente, dai revisionismi che giudicano i drammi della guerra partigiana in base alla prassi del nostro tempo, e cioè senza rispetto della Storia stessa. Non c’è modo peggiore di calpestare la verità che estrarre dalla narrazione piccole porzioni, e giudicarle come se fossero il fenomeno complessivo. Analisi parziali che non considerano quanto passioni del conflitto come la vendetta e la rivalsa siano originate dalle responsabilità delle origini, causate cioè da chi ha imposto la dittatura e ha scatenato la guerra. Senza il fascismo, la Resistenza non avrebbe avuto ragion d’essere.
Chiara Colombini
Storia passionale della guerra partigiana
Laterza, Bari-Roma 2025
248 pagine, 12 euro