Ricordare, distinguere, resistere

Il documento della Comunità di chiese protestanti in Europa a 80 anni dalla fine della II guerra mondiale

 

La Cepe, Comunità di chiese protestanti in Europa, ricorda con un documento gli 80 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale, la liberazione dell’Europa e l’avvio di un nuovo ordine democratico. Con più di 90 Chiese membro, la Cepe riunisce diverse culture della memoria e chiede una cultura della memoria onesta e differenziata che favorisca la riconciliazione.

 

Ecco il testo:

 

Ma bada a te e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Deuteronomio 4,9

 

L’8 maggio 1945, dopo 2.077 giorni di guerra, il regime di non diritto nazionalista e barbaro che governava la Germania si arrese dopo aver causato una frattura della civiltà senza precedenti. Da 60 a 75 milioni di esseri umani, circa il 3,5% della popolazione mondiale dell’epoca, hanno pagato con la vita il prezzo di questa “guerra totale”. Sei milioni di ebrei sono stati selvaggiamente sterminati durante la Shoah. In Polonia, il paese più colpito dalla guerra, un sesto della popolazione ha perso la vita, una vittima su due era di origine ebraica. L’Unione Sovietica, con i suoi 27 milioni di vittime, ha battuto un triste record.

 

La fine della guerra ha significato sia la liberazione che l’inizio di una nuova era di violenza in Europa segnata da spartizioni di territorio, espulsioni, innumerevoli rifugiati e sfollati, nuove occupazioni e, in particolare sul territorio dell’Unione Sovietica e nella parte orientale dell’Europa, da nuove annessioni e purghe etniche, da altre ideologie e, ancora una volta, da interferenze e oppressione. Il continente non è stato liberato dalla violenza, ma ha visto nascere un nuovo ordine nella violenza. La Seconda guerra mondiale finì per concludersi nel 1989, al momento della caduta della cortina di ferro, ma prima c’era stato il ponte aereo di Berlino nel 1948, la fondazione della Comunità del carbone e dell’acciaio nel 1952, la rivoluzione ungherese del 1956, la costruzione del muro nel 1961 e la Primavera di Praga nel 1968.

 

Fino al 1989, ha regnato un’opposizione tra le società libere, prospere sul piano economico, e le società totalitarie che, dietro le apparenze di democrazia (autoproclamata), in realtà limitavano sotto molti aspetti le libertà individuali e collettive avanzando le proprie giustificazioni ideologiche. Anche il principale progresso del dopoguerra, la Dichiarazione universale dei diritti umani, è stato strumentalizzato a livello politico. Chi concedeva il diritto di vivere in pace e libertà? Chi lo rifiutava o lo faceva brillare? La decisione, lungi dall’essere presa in nome dell’uguaglianza universale dei diritti, era di potere politico.

 

L’Europa ha una storia comune, ma non ha una memoria comune. Le storie personali che segnano la vita di un individuo non compaiono in nessun libro di storia e non sono protette né dall’oblio né dalla repressione. La sofferenza, il dolore, la perdita, l’odio, la vendetta, il senso di colpa e la vergogna non si riducono a semplici fatti storici. I ricordi non sono neutri e non possono essere ridotti a nessun comune denominatore storico. Sono raccontati, condivisi, interpretati, possono unire e dividere. I ricordi polarizzano quando vengono utilizzati per legittimare la propria visione del mondo. I ricordi spiacevoli hanno un potere di riconciliazione se impongono non l’uniformità, ma il rispetto reciproco che permette di sopportare e riconoscere le ambivalenze. La pace e la riconciliazione non si ancorano al consenso costruito a tavolino, ma alla volontà sinceramente condivisa di coltivare la memoria degli uni e degli altri, in modo differenziato, nel rispetto delle contraddizioni e nonostante le provocazioni. Rifiutare a una persona o a un gruppo di ricordare il proprio passato equivale a contestare il proprio posto nel mondo. Il rifiuto del diritto di memoria e l’assenza di confronto con il passato costituiscono il terreno di nuove ingiustizie nel presente.

 

La Comunione delle Chiese protestanti in Europa riunisce Chiese che intrattengono rapporti diversi con la storia segnata dalla violenza dell’Europa del XX secolo e che non hanno affatto subito le conseguenze della guerra allo stesso modo. Le situazioni di conflitto nazionali, etniche e sociali si riflettono direttamente nelle Chiese membro. Queste Chiese hanno messo fine a mezzo secolo di discordie legate alla Riforma ratificando la Concordia di Leuenberg nel 1973. Con questo gesto, hanno anche costruito dei ponti, in piena Guerra Fredda, oltre le mura politiche dell’Europa divisa. La Comunione ha avuto successo perché ha professato un’unità che la politica non può creare, né impedire: l’unità della Chiesa di Gesù Cristo, nella Parola e nei sacramenti, nella testimonianza e nel servizio. La Comunione si concepisce come uno degli anelli del processo europeo di unificazione e come una delle sue molle, perché vede nell’Europa uno spazio di responsabilità che deve assumere la sua eredità storica.

 

Oggi, ottant’anni dopo, dopo l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, la prospettiva di un’Europa pacifica, già svanita con la guerra in Jugoslavia, si allontana ancora di più. Altri elementi hanno anche effetti deleteri: tendenze autoritarie, neonazionalismo, narrazioni di vendetta basate sulla storia, politica economica isolazionista, ritiri di accordi internazionali, crescente sfiducia nei confronti della partecipazione democratica. L’idea europea di rendere impossibile la guerra creando interdipendenze economiche, sociali e culturali, subisce pressioni interne ed esterne, ed è messa in discussione da interessi nazionali, narrazioni populiste, sufficienza moralizzante e pseudo-verità fabbricate da zero. Il progetto europeo, caratterizzato dall’ordine democratico e dallo Stato di diritto, è tornato ad essere un progetto contestato, e le Chiese sono al centro di questa tempesta.

 

Ciò che unisce la Comunione delle Chiese protestanti in Europa non sono interpretazioni uniformi; è l’impegno a discutere seriamente, senza rimanere sordi alla contraddizione, né reprimerla, ma prendendola sul serio. La commemorazione dell’8 maggio 1945 serve la stessa causa. Questa giornata della memoria permette di evocare la resistenza: contro la banalizzazione della colpa, contro la relativizzazione dei diritti umani, contro il cinismo delle logiche amico-nemico. Secondo l’interpretazione protestante della Bibbia, la pace si lega all’impegno a favore di rapporti giusti in cui la violenza è nominata senza essere usata per restituire colpo su colpo e dove i conflitti non sono repressi, ma guardati in faccia.

 

È quindi essenziale ricordare, senza relativizzare, ma introducendo la differenza affinché la dignità umana non diventi di nuovo la moneta di negoziazione di una politica disumana. Ciò richiede la volontà di comprendere le preoccupazioni degli altri e di creare una cultura della fiducia all’interno della quale è possibile parlare apertamente e riconciliarsi.