Myanmar, chiese protestanti in aiuto della popolazione

A un mese dal devastante sisma la situazione è ancora drammatica

 

La terra tremava sotto i loro piedi, ma mentre gli edifici oscillavano in Thailandia, si sgretolavano in Myanmar. All’indomani del potente terremoto che ha colpito il sud-est asiatico alla fine di marzo, due paesi vicini, Thailandia e Myanmar, sono stati lasciati soli, alle prese con il suo impatto devastante. Eppure il contrasto tra le loro realtà non potrebbe essere più netto.

Il nord della Thailandia, comprese città come Chiang Mai e Chiang Rai, ha sentito la scossa. La gente si è riversata nelle strade, ansiosa e scossa, ma per lo più al sicuro. Muri incrinati e routine interrotte hanno segnato la portata del loro calvario.

In Myanmar, il terremoto ha segnato profonde cicatrici, sulla terra, nelle case e nei cuori.

 

5.300 persone sono al momento confermate morte, con oltre 11.000 feriti e più di 1.100 ancora dispersi. Quasi 50.000 persone vivono in campi di soccorso di fortuna, molti sotto teloni e fogli di plastica in campi aperti. Intere famiglie hanno perso non solo le loro case, ma le loro chiese, le loro scuole, il loro senso di normalità e, in molti casi, i loro cari.

 

«Alcuni hanno perso amati membri della famiglia. In modo straziante, anche i loro edifici ecclesiastici sono crollati, lasciandoli senza un posto dove pregare o riunirsi come comunità», ha commentato il pastore Rolin San, direttore delle missioni estere presso la Chiesa riformata cristiana del Myanmar. «È stato profondamente doloroso assistere in prima persona alla sofferenza. Vedere la devastazione con i miei occhi mi ha fatto sentire sopraffatto e impotente a volte».

A Mandalay, Sagaing e Inlay, le regioni più colpite, le persone si mettono in fila per l’acqua potabile. Il cibo è scarso e l’elettricità rimane tentennante. Gli ospedali, già in crisi prima del terremoto, sono ora sopraffatti o completamente distrutti. La paura delle epidemie incombe dal momento che le persone dormono in rifugi sovraffollati o per le strade.

Eppure, in mezzo alla disperazione, è emersa una solidarietà tranquilla e determinata.

 

Le comunità religiose in Thailandia hanno teso le mani oltre il confine. La Chiesa di Cristo in Thailandia (Cct), membro della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate (Wcrc), è stata tra le prime a rispondere. Le forniture – sacchetti di riso, bottiglie di acqua potabile, uova e articoli per l’igiene – vengono imballate e inviate a coloro che ne hanno più bisogno.

«Siamo tutti parte di una famiglia umana», ha detto il dott. Prawate Khidarn, assistente del segretario generale per gli affari ecumenici della Cct. «Mentre la Thailandia è stata risparmiata dal peggio, siamo chiamati ad agire, non solo con compassione, ma in giustizia. I nostri vicini in Myanmar stanno soffrendo. E non devono soffrire da soli».

 

A Kalaymyo, nel nord-ovest del Myanmar vicino allo Stato di Chin, i volontari della Chiesa presbiteriana del Myanmar stanno facendo quello che possono. La signora Van Lal Hming Sangi, segretaria dell’Assemblea generale della chiesa, ha reso noto che i gruppi giovanili di Kalaymyo e Yangon continuano a recarsi a Mandalay per aiutare le vittime, nonostante le scosse di assestamento in corso.

 

Ma il bisogno è vasto e in crescita.

La Chiesa presbiteriana del Myanmar (Pcm) ha aperto il suo centro a Mandalay per ospitare gli sfollati. Sono in corso piani per scavare pozzi profondi, ripristinare l’elettricità e rafforzare le strutture danneggiate, ma i finanziamenti limitati e le continue scosse hanno rallentato i progressi.

«L’aiuto non è solo una questione di carità. È una questione di giustizia», ha detto un rappresentante della Pcm. «Stiamo facendo quello che possiamo con quello che abbiamo, ma abbiamo bisogno che la nostra famiglia della chiesa globale cammini con noi».

 

La Comunione Mondiale delle Chiese Riformate, che conta sia la Cct che le chiese in Myanmar tra i suoi membri, ha lanciato un appello per un’assistenza urgente. «Questo non è solo un momento per ricostruire le case – dicono – ma per ricostruire la speranza. Mentre le scosse di assestamento, sia letterali che emotive, continuano a incresparsi attraverso il Myanmar, una cosa è chiara: il recupero richiederà più del tempo. Ci vorrà presenza. Ci vorrà solidarietà. Ci vorrà l’aiuto tutti».