
Playlist di Aprile. Cosa resterà di questi anni ’20?
Fra musica e teologia la nuova rubrica del Dj e scrittore Diego Passoni
La radio non canta più «don’t you break my heart» come quando Raf si faceva domande esistenziali nel mezzo del decennio dell’edonismo degli yuppies.
Oggi le piattaforme sputano melodie pre-prodotte, spacchettate, calibrate da algoritmi insuperabili nel generare ritornelli orecchiabili, anzi quasi confermativi di ciò che vorremmo, ci piacerà certamente, con quella capacità predittiva e rassicurante per cui le IA sono state programmate. Non capita anche a voi di sentire uno dei tantissimi pezzi che escono ogni giorno, e pensare che il giro armonico finisce proprio come avremmo voluto, che dunque ci resta subito in testa, che sia già un refrain anche solo al primo ascolto?
Io sono a favore di qualunque progresso, comprese queste menti cibernetiche che sbrigano in pochi secondi lavori di assemblaggio di informazioni, estrapolazione di dati da mari infiniti di archivi, e che sanno spavaldamente proporci loro proposte editoriali. Siccome però i loro prodotti finiscono per assomigliarsi un po’ tutti – vi sfido a distinguere solo dall’intro strumentale se una canzone sia di Lazza, Rkomi o Olli! – ecco una proposta di musica fatta come torta pasqualina: tutta a mano con un sacco di cose buone.
Purtroppo il giornalismo non brilla di curiosità da anni, e quel copia-incolla da titoli facili ha finito per definire questa musicista come un incrocio tra Teresa De Sio e Rosalia. (Se Chat GPT vi ruba il lavoro fa bene!) poiché Carola Moccia, in arte la “Niña del Sud” si autodefinisce “Figlia d’ ’a tempesta”. Scrive musica e suona da molti anni, scivolando con sicurezza tra l’elettronica, il cantautorato, la musica folk, il napoletano, il francese, l’arpeggio alla chitarra, la tamburriata, e a sorpresa un attimo di autotune, con una voce così intensa e una personalità fortissima, a dimostrazione che per avere un’ identità potente, bisogna sporcarsi, mischiarsi, farsi invadere da mille e mille storie minori e dar loro spazio per far frutti buoni ad arricchire e colorare il nostro praticello all’italiana.