
25 aprile e valli valdesi: le persone e la memoria
Il rapporto con i testimoni e la necessità di cercare altre strade per ricordare quei fatti
Mi è capitato, giusto qualche giorno fa, di parlare con un giovane studioso interessato alla Resistenza e soprattutto alla Resistenza nelle valli valdesi. L’età del ragazzo non è una precisazione futile; la prospettiva da cui vorrei approcciare il tema della Resistenza oggi è infatti strettamente legata al tema della memoria e della testimonianza. Stavo parlando con un ragazzo di poco più giovane di me, ma abbastanza più giovane di me perché gli risulti molto più difficile fare studi sulla Resistenza di quanto non sia stato per me solo una decina di anni fa, per non parlare delle generazioni che mi hanno preceduta.
Ho sempre pensato di essere stata molto fortunata perché ho avuto la possibilità di studiare la Resistenza alle valli valdesi, e nello specifico le donne della Resistenza alle valli valdesi, facendo ancora affidamento su alcune testimonianze orali che ho potuto raccogliere. Contatti ricevuti per conoscenza, contatti “di famiglia” come spesso accade alle Valli, dove non si è solamente Debora Michelin Salomon ma si è anche, e per le generazioni passate si è soprattutto, figli di… nipoti di…, originari di quel paese e non di quell’altro. Insomma, una rete ancora tutto sommato fitta, fatta di persone disponibili all’incontro e al racconto, lucide, emozionate ed emozionanti.
Ecco, fino a qualche anno fa erano possibili questi incontri, che avevano il sapore dello scambio e della conoscenza reciproca. Un accogliersi e allo stesso tempo un raccontarsi, pur ammettendo tutte le lacune che il tempo ha inevitabilmente portato nelle memorie, pur tenendo conto della differenza che intercorre tra storia e memoria (mantra sempre presente nella mente di qualsiasi storico), pur considerando quanto la memoria collettiva possa influenzare, e in alcuni casi anche modificare, la memoria personale: nonostante tutte queste considerazioni i rapporti con chi la Resistenza l’ha vissuta e l’ha fatta è stato un dono immenso per chiunque abbia avuto la fortuna di poterne godere. Ma oggi, come sta cambiando il modo di studiare la Resistenza? Che cosa aspetta gli studiosi non solo del domani, ma anche dell’oggi?
I testimoni diretti stanno progressivamente scomparendo, fortunatamente però il grande lavoro di storiche e storiche degli ultimi decenni, soprattutto in relazione alla storia orale, ha contribuito notevolmente a immagazzinare informazioni, interviste, racconti di vita e di Resistenza che ci permettono di ricostruire non solamente la Storia da un punto di vista evenemenziale ma mettendo l’accento anche su quella che è stata la singola esperienza di lotta. La Resistenza infatti può prendere diverse declinazioni e particolarità a seconda del tempo, del luogo e delle specificità del contesto a cui ci si riferisce, pur senza perdere quell’unità di intenti e di ideali da cui ha preso avvio. Nelle valli valdesi ci troviamo a esempio in un contesto particolare, in cui la popolazione condivideva, nella sua maggioranza, un’identità di fede valdese che non si ritrova in altre zone d’Italia. Studiare questa identità e come essa abbia influito nella lotta al nazifascismo è un tipico esempio di storia che passa notevolmente attraverso la memoria, il racconto, le fonti orali.
Se ci concentriamo sulla storia istituzionale scopriamo infatti che la Chiesa valdese non prese mai ufficialmente una posizione ostile al regime fascista e di supporto alla Resistenza. Se però rivolgiamo domande a chi la Resistenza l’ha fatta, scopriamo che le bande partigiane delle Valli erano composte per la maggior parte da valdesi. Possiamo allora chiederci se questa sia stata una Resistenza con strette caratteristiche legate alla confessione religiosa. E a questo punto, sempre attraverso le fonti orali, scopriamo che no. La Resistenza alle valli valdesi era fatta dalla popolazione che alle Valli viveva, e quindi in maggioranza valdese, ma senza una specifica caratterizzazione dei partigiani derivanti dall’appartenenza religiosa. Anche qui la lotta era guidata da ideali di libertà, dalla speranza di un futuro più luminoso, dalla volontà di poter nuovamente godere dei diritti che erano stati così duramente limitati.
Possiamo quindi affermare che l’essere valdesi non influì in alcun modo alla scelta resistenziale? Neanche questo è corretto: sempre attraverso le fonti orali scopriamo infatti che nelle testimonianze di diverse persone, donne e uomini, che lottarono per la Resistenza la scelta fu guidata anche dal ricordo delle persecuzioni subite nei secoli precedenti, da una naturale predisposizione al riconoscimento dei diritti e della libertà proprie e altrui, da un ambiente famigliare che dei valori antifascisti era portatore quasi per sua propria costituzione. Vediamo dunque che le sfumature che compongono il quadro dell’antifascismo sono molteplici e si possono rintracciare nelle esperienze personali più che negli archivi di atti e nei documenti istituzionali.
Questo è solamente un esempio, forse banale, dell’importanza della memoria e delle memorie; di come sia possibile e a volte necessario utilizzare la viva esperienza delle persone per fare storia e per capire meglio le motivazioni che spinsero a compiere una scelta invece di un’altra. Le testimonianze e le memorie che sono state raccolte sull’esperienza resistenziale sono un patrimonio fondamentale che verrà utilizzato e studiato anche negli anni futuri: molti sono infatti gli aspetti della Resistenza che possono essere approfonditi ancora oggi; anche tenendo conto del fatto che molti testimoni non raccontarono immediatamente la propria esperienza ma riuscirono a parlarne solo a distanza di anni se non decenni, spesso solamente in tarda età.
Che quello che si avvicina possa essere per tutte e tutti noi un 25 aprile di memoria, di riflessione e di approfondimento di quei valori che guidarono le generazioni passate nella lotta di Liberazione e nella ricostruzione di un’Italia che di quei valori fosse un limpido specchio.