I canti dell’incanto di Danilo Di Matteo

Una silloge poetica intreccia i temi dell’amore e della trascendenza

Di Anita Gramigna

 

Le liriche di Danilo Di Matteo* parlano d’amore, con amore. Ci conducono, con sapienza semplice, alla profondità della conoscenza di sé con l’Altro: «forse sono un mendicante/ forse un principe/ dipendo da te/ e/ sono libero grazie a te» (p. 13). E infatti, la passione “sente” l’altro perché vibra nella sua meravigliosa libertà. E qui si attiva quella costruzione attiva della realtà che chiamiamo ermeneutica: «Cosa ne è del desiderio/ se non si è liberi?/ Cosa resta di te, Libertà,/ senza desiderio?» (p. 26).

 

L’amore conduce a un conoscere che è visione del mondo – ci suggerisce l’autore – sulla base di percorsi di significazione che partono dal desiderio: «un abbaglio,/ follia di un istante/ che dischiude\l’eternità» (p. 17). La seduzione invoca l’ulteriorità, la trascendenza dell’io nel noi e, ancora, conduce un escavo nella conoscenza che lascia intuire, che spinge a scoprire. L’attrazione diviene qui esperienza immaginifica che esalta la tensione metaforica dei linguaggi.

 

La seduzione nell’Amore descritto in queste pagine si serve della metafora, e la esalta. Eppure, da subito, risulta chiaro che l’Amore è intraducibile, le parole, di per sé, non sono sufficienti. Di qui, la tensione ermeneutica delle metafore che in queste parole fioriscono a costellare di senso il discorso amoroso. La metafora – ci mostra Di Matteo – accoglie quell’eccedenza di significato intraducibile, che possiamo intuire solo emozionalmente. È canto del non ancora. Discorso amoroso che insegue l’inesprimibile. E lo traduce in gesto, immagine, abbraccio: «Eros, tu, pacata come la luna,/ sei il mio sogno erotico\interminabile» (p. 16). Amore-incantamento che ha come fine l’individuo nella sua unicità e che pertanto lo sottrae dal rischio dell’omologazione, nella fusione degli abbracci con l’amata, «quando si incontrano/dare e avere,/ fino a coincidere» (p. 23).

 

Ecco che il corpo diviene immagine, non solo nella sua fisicità amorosa ma soprattutto nella sua valenza metaforica, nella tensione che ci conduce all’evocazione di altre icone e simboli: «Corpi lontani/ che si cercano/ corpi che parlano/ e urlano/ corpi che tacciono/ corpi che si respingono e fremono/ si odiano e si amano» (p. 28).

L’amata è l’immagine dell’amore, icona della bellezza e fonte del desiderio. È visione che invoca una dimensione “altra”, incontro all’ulteriorità e alla trascendenza, alla percezione della totalità: «Sono incredulo, e credo/ Che ne sarà di te e di me? / non so/ dubito/ temo/ mi spavento/ Eppur credo» (p. 36).

 

Sono tante le sollecitazioni che queste poesie ci regalano. Si tratta infatti di pagine dense ed emozionanti che seducono il nostro pensiero lungo il sentiero della riflessione. Rappresentano un’esperienza estetica e ci riportano a Gadamer. Già Gadamer, in Verità e metodo1, aveva colto nell’esperienza estetica la possibilità-necessità di un’ermeneutica della vita, perché la visione della bellezza è un principio ispiratore della realtà. Attraverso la commozione evocata dall’Amore l’autore si muove in un ambito privo della necessità vincolante della razionalità, in uno spazio di assoluta libertà ove pensiero ed emozione si abbracciano e annunciano un modo nuovo di pensare il mondo: «E se tu fossi il luogo/ di una Promessa/ d’Amore?» (p. 45) si chiede Danilo Di Matteo.

 

* D. Di Matteo, Nescio. Non so, prefazione di Giacomo Marramao, Postfazione di Rosa Maria Salerno. Arezzo, Edizioni Helicon, 2024, pp. 92, euro 15,00.

 

 

  1. H. G. Gadamer, Verità e metodo, tr, it. di G. Vattimo. Milano, Bompiani, 1972; cfr. anche Ermeneutica e metodica universale, a cura di U. Margiotta. Genova, Marietti, 1973.