«Sono sempre quello, e sono tutto un altro»

Una nuova serie Sky dedicata a Mauro Rostagno e alle sue tante vite

 

Troppo pochi i libri su Mauro Rostagno. Mancano film, studi, che possano aiutare chi non ha conosciuto la sua vita a ricevere stimoli dalle parole e dal corpo di un uomo che di vite in realtà ne ha vissute ben più di una. E allora ben venga finalmente la miniserie di due puntate che Sky sta trasmettendo dalla scorsa settimana, “Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo”. Gli spettatori guidati da Roberto Saviano devono farsi prendere per mano con fiducia.

 

Operaio, studente nella Trento rivoluzionaria del 1968, «Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto» diceva Rostagno leader universitario e dopo fra i fondatori di Lotta Continua (fece epoca portando in cattedrale davanti al cardinale Pappalardo gli abitanti dei «catoi», i buchi di pietra, lamiera e topi del centro di Palermo, per denunciarne le condizioni di non-vita).

Poi animatore culturale con quella magia urbana che è stato il centro “Macondo” a Milano. Quindi il periodo “arancione” nell’ashram di Osho in India, prima della grande avventura trapanese con il centro Saman, comunità terapeutica per tossicodipendenti, che in quella metà degli anni ’80 sono i veri reietti delle nostre società moderne. Infine giornalista, una scoperta e una passione vissuta senza compromessi, come tutto il resto della sua esistenza. Se so, se vedo, denuncio. Sembra facile. A Trapani poi, dove la mafia nemmeno si poteva nominare

 

Forse sono troppo poche due puntate, difficile rendere la complessità di un personaggio che si reinventa e ripensa continuamente, che mentre arriviamo in un posto sicuri di acchiapparlo è già altrove, «a raccogliere il dolore della gente da un’altra parte» come dice Enrico Deaglio nella serie. Anche perché ampio e giusto spazio, purtroppo, va dedicata alla sua morte, che ruba spazio che si dovrebbe usare per celebrare la sua vita. Perché Rostagno è morto ammazzato per volontà mafiosa. Ci sono voluti decenni per arrivare a processo e verità. In mezzo il dolore di chi è rimasto e l’infamia per le persone a lui più vicine di subire l’onta di un’indagine quali presunti mandanti di un “delitto fra amici”. Le testimonianze della compagna, delle figlie, della sorella, ci restituiscono quell’incubo.

 

Ecco perché questa serie arriva anche così tardi, perché era necessaria una parola definitiva su quello che già tutti sapevano, ma che ora con il sigillo dei giudici è finalmente verità non più attaccabile.

 

Due puntate da non perdere, per godersi l’ironia spiazzante e ridere delle sue trovate giornalistiche efficacissime. Per godersi una vita così breve e così piena di voglia di cambiarlo questo mondo. Anche se come dice Mauro ridendo, spiazzandoci un’altra volta ancora, «Volevamo fare la rivoluzione e per fortuna non ce l’hanno fatta fare». Mentre la stava facendo e l’ha fatta.