Due anni fa la tragedia di Cutro

«Questa cupa ricorrenza è un promemoria della necessità urgente di un sistema strutturato ed efficace di ricerca e soccorso in mare»

 

 «L’immagine è straziante: una spiaggia con i relitti di un barcone, qualche scarpa e la tutina di un bambino. Del corpo che doveva contenere non si sa nulla se non che è stato inghiottito dal mare nel corso dell’ultima tragedia dell’immigrazione, quella che si è verificata a Cutro, nei pressi di Crotone, all’alba del 27 febbraio. Un primo bilancio ipotizza quasi 70 vittime ma si teme un numero ben più alto».

 

Così Paolo Naso nella sua rubrica “Essere chiesa insieme” all’interno della trasmissione di Rai Radio Uno “Culto evangelico”, commentava a caldo nel febbraio di due anni fa l’ennesima tragedia evitabile di persone migranti nel Mediterraneo.

 

Nella notte fra il 25 e il 26 febbraio, a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro in Calabria, un’imbarcazione di legno sovraffollata si spezzava, causando la morte di almeno 94 persone, tra cui bambine e bambini.

La barca, che trasportava circa 180 persone provenienti da paesi come Afghanistan, Iran, Pakistan e Siria, era partita dalla Turchia quattro giorni prima.  Sono sopravvissute solo 80 persone.

Nonostante l’indignazione suscitata in occasione di quell’ennesimo, drammatico naufragio, tragedie simili hanno continuato a verificarsi. Negli ultimi due anni, oltre 5.400 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo. 

«Questa cupa ricorrenza è un promemoria della necessità urgente di un sistema strutturato ed efficace di ricerca e soccorso in mare, basato sul diritto internazionale, che preveda il coinvolgimento dell’UE a supporto del lavoro vitale della Guardia Costiera italiana». Così commentano oggi Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, Nicola Dell’Arciprete, Coordinatore della Risposta in Italia per l’Ufficio UNICEF per l’Europa e l’Asia Centrale, e Laurence Hart, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento del Mediterraneo dell’OIM.

Che proseguono: «Ricordiamo che salvare vite in mare non solo è una tradizione marittima di lunga data ma è un dovere legale degli stati. Le traversate del Mediterraneo sono pericolose, le imbarcazioni utilizzate sono inadatte alla navigazione e rischiano di capovolgersi con facilità. Il soccorso deve avvenire il più rapidamente possibile.

Ribadiamo inoltre l’appello ad ampliare e rafforzare canali sicuri e regolari di migrazione – tra cui il programma di reinsediamento, i ricongiungimenti familiari, le evacuazioni di emergenza, i corridoi umanitari, quelli universitari e lavorativi – come alternative ai pericolosi viaggi in mare. 
Solo investendo in un sistema coordinato di ricerca e soccorso e sviluppando politiche a lungo termine si potranno contrastare le reti criminali di trafficanti, proteggendo al contempo i diritti umani delle persone che intraprendono questi viaggi, indipendentemente dalla loro origine».

 

«Ma attenzione – concludeva la sua rubirca il professor Naso -i corridoi umanitari per qualche migliaio di persone non possono essere l’alibi di un’Europa che costruisce muri e chiude le frontiere. Se devono diventare un asse strategico delle politiche europee dell’immigrazione, gli attuali numeri dei corridoi umanitari devono aumentare significativamente. Allo stesso tempo, occorre comunque rafforzare i dispositivi di soccorso in mare, almeno finché canali migratori ordinari non renderanno inutili le migrazioni irregolari. Questo suggerisce la logica delle cose.
Se invece si preferisce infierire sulle vittime, vuol dire che abbiamo perso non solo la strada della razionalità ma anche quella del diritto e dei principi umanitari».

 
 
 
Foto di Nadia Angelucci