
La Palestina dopo il 7 ottobre
Intervista al pastore luterano di Betlemme Munther Isaac
È terminata domenica 23 febbraio la visita in Italia di una delegazione del movimento Kairos Palestina, il più vasto movimento cristiano non violento, invitato da Pax Christi, che si è recato in molte città italiane a partire da Napoli, passando per Roma, Firenze, Bologna, Padova, e infine Venezia. Una visita fatta di incontri con varie realtà cristiane, anche evangeliche, e anche con realtà istituzionali, come la Commissione Esteri della Camera, o con espressioni della società civile. La delegazione era composta da Munther Isaac, pastore luterano e preside del Bethlehem Bible College, Rifat Kassis, coordinatore del gruppo che ha elaborato il documento che ha dato il nome al gruppo Kairos Palestina, e dall’avvocata Sahar Francis, cristiana, palestinese, cittadina israeliana, che si occupa dei prigionieri palestinesi.
In tale occasione abbiamo intervistato il pastore Munther Isaac.
Pastore Isaac, comincerei chiedendole quale sia la situazione in Cisgiordania che è un po’ fuori dai riflettori dei media.
«La situazione in Cisgiordania va sempre peggio. Certo rispetto a quanto è successo a Gaza si potrebbe dire che non è nulla a confronto, ma è comunque una realtà tragica. È il risultato di una sistematica e completa frammentazione del territorio in blocchi operata da Israele da anni. Dopo il 7 ottobre Israele ha costruito 900 nuovi posti di blocco, di fatto limitando quasi totalmente la circolazione degli abitanti, rendendo così estremamente difficile la loro vita, tanto da far desiderare a molti di abbandonare questa terra. Ci vogliono anche 6-7 ore per andare da un luogo all’altro quando normalmente non si impiegherebbe più di 30 minuti. Sono barriere che Israele chiama “blocchi per la pace”. Stanno anche distruggendo i campi profughi esistenti dal 1948, come i campi di Jenin e Tulkaren. Troppe persone sono state uccise e circa 40mila persone sono state sfollate dentro la Cisgiordania e le loro case distrutte. Anche le persone arrestate sono più che raddoppiate e spesso sono arrestate e detenute senza un’accusa e senza un processo, in quello che viene chiamato “arresto amministrativo” Cosi non possono usufruire del diritto alla difesa, perché non sono accusati di nulla, e la loro detenzione può durare mesi se non anni violando qualsiasi diritto non solo umano, ma anche quello internazionale.»
Ma lei pensa quindi che l’obiettivo di Israele è l’annessione della Cisgiordania?
«Certamente. E questo è vero già prima del 7 ottobre, ma oggi basta ascoltare quanto esplicitamente dichiarano gli attuali politici israeliani. Loro sostengono che questa la terra è esclusivamente per gli ebrei, data da Dio, loro hanno già dichiarato che vogliono annettersi la Cisgiordania. Continuamente arrivano notizie di espropri di terre dei palestinesi, e lavorano per rendere impossibile qualsiasi possibile sovranità palestinese tramite un feroce controllo del territorio e della popolazione».
E i cristiani in questa situazione?
«Attualmente in Terra Santa i cristiani sono circa il 1% della popolazione. Prima del 1948 erano il 10%, poi con l’aumento di popolazione sono scesi al 5%, anche perché molti se ne sono andati. Attualmente in Israele ci sono circa 130mila cristiani, nella parte palestinese sono 45mila. Dopo il 7 ottobre a Gaza sono morti molti cristiani e anche in Cisgiordania molti cristiani se ne sono andati via a causa della vita resa impossibile e della crisi economica sopraggiunta».
Quali prospettive avete come cristiani?
«Tutti noi cristiani siamo determinati a continuare non solo a esistere, ma anche essere testimoni della nostra fede in Gesù Cristo, che ci da forza e speranza. In mezzo a molte difficoltà le nostre chiese stanno servendo la popolazione palestinese con scuole, diaconia, centri per giovani, anche con uno sportello donna. Nonostante i posti di blocco (a volte impieghiamo ore per raggiungere le nostre chiese che distano anche solo dieci minuti da casa) cerchiamo di riunirci con regolarità. Siamo molto determinati a continuare a portare avanti la testimonianza del Vangelo nel luogo in cui tutto ha avuto inizio».
Quale solidarietà dopo il 7 ottobre avete ricevuto dalle chiese occidentali?
«Abbiamo avuto timide manifestazioni di solidarietà, la maggioranza delle prese di posizione sono state di solidarietà con Israele. Anche quando abbiamo manifestato con azioni non violente, come la proposta del boicottaggio ad Israele non siamo stati molto ascoltati».
Oggi le chiese europee sono impegnate a mandare aiuti umanitari..
«Si sono pronti ora a mandare soldi ma sono state zitte prima. E questo per noi è stata una vera e propria sofferenza e una ferita per il mondo cristiano».
Lei non considera forse che le chiese cristiane occidentali, come anche il mondo politico, siano rimasti impressionati dagli attacchi terroristici in Israele e ciò li abbia condizionati?
«Io sono sempre molto colpito che gli attacchi contro Israele sono chiamati atti di terrorismo, ma mai hanno chiamato terrorismo il comportamento di Israele contro i palestinesi. Non hanno mai chiamato terrorismo gli insediamenti in Palestina e gli stessi comportamenti aggressivi – e armati – dei coloni, finanziati dai governi israeliano e americano».
Pensa che la nonviolenza possa costituire una scelta necessaria e possibile?
«Come cristiano io credo nella nonviolenza, Questo è il mio impegno. Ma nonostante la nostra non violenza non ci sentiamo ascoltati dai paesi occidentali. I paesi occidentali parlano sempre di diritti, ma su questo piano ci sentiamo traditi, perché questi principi non vengono applicati per i palestinesi».
Qui di seguito la conferenza che si è svolta a Napoli, sostenuta anche dalle chiese evangeliche italiane:

Nella foto il pastore Munther Isaac con la pastora battista Anna Maffei