Il testimone che ci ha lasciato David Sassoli
«La sua eredità reca il segno di una politica che non vuole mai smarrire la concretezza»
Ci manca David Sassoli. Non soltanto manca agli affetti più cari e chi gli era amico. Manca all’Italia e all’Europa, a quanti lottano per una società più giusta, a chi crede alla solidarietà come motore primo dello sviluppo. Manca alle forze di centrosinistra, nel cui campo ha militato, divenendo negli anni della sua presidenza dell’Europarlamento un leader autorevole e riconosciuto, capace di visione e di risultati concreti.
Tante cose sono cambiate da quando David ci ha lasciati. L’aggressione russa all’Ucraina ha riportato la guerra nel nostro continente. Il disumano attacco di Hamas ha scatenato una reazione israeliana non meno disumana, squassando il Medio Oriente. Gli equilibri del mondo sono cambiati, ma risultano ancora più instabili, quasi ingovernabili. La guerra mondiale a pezzi lega progressivamente le sue parti, sospinge una spaventosa e immorale corsa agli armamenti, deresponsabilizza gli Stati sull’emergenza ambientale e climatica, fa retrocedere nelle priorità la lotta alla povertà, alle diseguaglianze, alle esclusioni. E la minaccia di potenti oligarchie tecnocratiche si sta facendo incombente su Stati e democrazie, comprimendo le forme del diritto e riducendo le distanze con i regimi autocratici.
L’Europa non riesce a esprimere una politica all’altezza delle nuove sfide globali. Una politica unitaria capace di difendere ciò che ha di più prezioso: la propria civiltà, il proprio modello sociale, lo storico compromesso tra economia di mercato e welfare. L’Europa non è priva di risorse e potenzialità, ma appare divisa, poco coraggiosa, attraversata da neo-nazionalismi che prosperano nelle paure diffuse ma sono privi di una reale volontà di incidere nei grandi cambiamenti. Ormai è chiaro a chiunque apra gli occhi: l’Europa di domani potrà dire la sua solo se unita, nel diritto, nelle politiche economiche e sociali, nelle sue relazioni con il mondo. Non ci saranno più effettive sovranità nazionali in Europa senza una chiara sovranità europea, sorretta da istituzioni sentite dai cittadini come autorevoli.
David lo ripeteva: senza Europa, i cittadini europei rischiano di diventare sudditi. Neppure lo Stato europeo più grande oggi è in grado da solo di giocare un ruolo globale. Si è visto il declino della Germania dopo la guerra scatenata da Putin. Si è visto l’indebolimento dell’asse franco-tedesco, storico motore dell’Unione. Il baricentro europeo si è spostato a est, ma non c’è una visione che sorregga la prospettiva europea. L’istinto di difesa non basta neppure a difendersi davvero.
Vuol dire che l’eredità che David Sassoli ci ha lasciato è ormai dispersa nel vortice dei mutamenti geopolitici? Sono convinto di no. Quell’eredità è al contrario un valore prezioso, un faro, una spinta a colmare i vuoti e sanare le fratture che si aperte.
David ci ha dimostrato, nel tempo della pandemia, che se l’Europa vuole può essere a servizio dei cittadini assai più di quanto non riescano a fare gli Stati nazionali. Ci ha dimostrato che si possono infrangere i tabù del rigorismo economico, come è stato per il debito comune. Ci ha dimostrato che il Parlamento europeo, espressione diretta dei cittadini, può dire la sua, e far pesare i propri orientamenti, costringendo i governi a retrocedere da propagande regressive, da egoismi autodistruttivi, da visioni corte, anzi cortissime.
La presidenza Sassoli è stata anche caratterizzata da un recupero della dimensione sociale dell’Europa, da investimenti in favore dei ceti più deboli, delle aziende in difficoltà, delle aree di marginalità. La sua è stata la presidenza del Green Deal europeo e del Next Generation EU: la transizione ecologica è una necessità, oltre che dovere che abbiamo verso i nostri figli e nipoti. Ne va del futuro dell’umanità. L’Europa avrebbe le carte per diventare un motore del riequilibrio ambientale, con tutte le possibili ricadute economiche, tecnologiche, sociali.
La politica non è degna se pensa solo al presente, alle filiere del potere, al tornaconto in termini di consenso in platee di elettori sempre più ristrette e sfiduciate. La transizione ovviamente deve essere giusta. Il che non vuol dire che va rallentata per ragioni demagogiche. Vuol dire che va accompagnata da più forti interventi di tutela, e di welfare, in grado di assicurare i diritti di cittadinanza a chi si trova a pagare i prezzi più alti delle trasformazioni.
Equilibrio ecologico e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia. Questa era una stella polare di Sassoli, in sintonia con la Laudato Si’ di papa Francesco.
Il testimone che David ci ha consegnato reca il segno di una politica che non vuole mai smarrire la concretezza, ovvero la capacità di rispondere a bisogni materiali di chi è più debole, ma al tempo stesso non intende rinunciare agli ideali, alla visione, al principio del primato della persona umana.
Principi, valori che non bisogna aver paura di rilanciare anche se sono scomodi, o impopolari. David Sassoli, da presidente del Parlamento europeo, si è esposto in favore dei corridoi umanitari per gli immigrati anche quando le destre li ostacolavano e facevano della loro opposizione uno strumento di propaganda. Sassoli ha detto tra i primi che ciò che manca alle politiche migratorie dell’Unione sono anzitutto le condizioni di una migrazione regolare e regolata.
Con la stessa determinazione ha sostenuto che l’accesso a Internet sia diventato un diritto universale, si è battuto per potenziare anziché ridurre il programma Erasmus, ha chiesto e ottenuto un piano europeo per i senza tetto. Sassoli ha difeso la libertà di informazione senza prudenze o ipocrisie: per questo Putin l’ha dichiarato persona sgradita alla Russia. Sassoli ha difeso con coerenza lo Stato di diritto in Europa, entrando in collisione sia con il governo ungherese che con il precedente governo polacco. E chi lo ha conosciuto è certo che non avrebbe mai riposto nell’angolo la bandiera della pace, anche quando la parola “pace” è sembrata impronunciabile secondo i canoni della realpolitik.
Insomma, la strada indicata da David è oggi ostruita dalle nuove destre europee, è resa accidentata dalle incertezze di tanti governi e dalla debolezza di forze democratiche e sociali, ma resta una rotta che può essere percorsa. Abbiamo avuto le prove che può produrre buoni frutti. David sarà geloso di coloro che vorranno raccogliere il suo testimone e portarlo avanti, con tutte le idee innovative e le sensibilità che saranno necessarie in questo nostro cambiamento d’epoca.