Disegnare sul filo sottile della memoria

Appena pubblicato il fumetto sulla storia di Zaharia Siperstein e Alfred Grube, medico ebreo e comandante tedesco, complici di umanità, realizzato da Max Cambellotti

 

Sarà presentata martedì 17 dicembre alla libreria Claudiana di Torino Zwei Menschen. Il ponte, la graphic novel realizzata da Max Cambellotti a partire dalla testimonianza di Susanne Ruth Raweh e Isabel Grube, rispettivamente figlia e nipote dei due Menschen protagonisti della storia: un medico ebreo internato con la famiglia in diversi lager in Ucraina e il comandante tedesco Alfred Grube.

 

«Il libro è la prosecuzione della missione di una vita dell’autrice, Suzie Raweh» ci racconta Max Cambellotti, che fu prigioniera nel campo di lavoro insieme alla sua famiglia. Dopo la guerra si è spesa molto per testimoniare la Shoah nelle scuole, in particolare a Torino dove ha vissuto a lungo. 

 

Max, che disegna per passione e non per mestiere, ricorda l’esordio quasi casuale della collaborazione: «Durante una cena Suzie mi ha detto: “Max, visto che tu disegni, ti andrebbe di fare una graphic novel sulla mia esperienza?”. E io, senza neanche pensarci sopra, ho detto “ma sì, certo, come no…”. Dopo qualche mese, mi arriva una chiavetta usb da Tel Aviv, dove lei nel frattempo si era trasferita, in cui c’era la testimonianza del padre, medico nato in Moldavia, resa allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme. C’erano anche delle foto, scattate in vari momenti, e le parole di molti dei dialoghi che ho poi inserito nel fumetto: io non ho dovuto inventare quasi niente, anche se il filo della memoria su questi avvenimenti è molto esile, è tutto basato sulla testimonianza resa dal dottor Sieperstein».

 

L’estremo realismo del racconto (rappresentato anche dalla cronologia e dalle mappe in appendice) è stato anche una sfida: che cos’ha voluto dire lavorare su storie di persone reali?

«Mi ha emozionato parecchio; si è trattato innanzitutto di studiare la documentazione, a cui ho dedicato il primo anno (il disegno arriva sempre dopo), per delineare la storia, la psicologia dei personaggi. Ho sentito tutto il carico di responsabilità nel cercare di restituire alla storia persone reali, prima che personaggi, a cui spero di non fare un torto. Per alcuni, magari secondari, ho avuto la sensazione di “farli vivere ancora un po’”; altri, per questioni di tempo e di spazio, ho dovuto metterli da parte».

 

Il materiale era molto, non deve essere stato facile condensare tutto in poco spazio!

«Questa è stata la seconda fase del lavoro, il libro è costruito in mini-capitoli con un carattere molto episodico, perché così mi è stata resa la testimonianza: in alcuni casi non si sa nemmeno come va a finire la storia, io per non inventare la lascio in sospeso… anche se alla fine tutto si raccorda e ha un senso».

 

Il libro esce in un momento storico in cui il tema dell’antisemitismo, ma anche la stessa storia ebraica, europea e in Israele, sono fortemente attuali. Immagino che questo abbia influenzato l’ultima fase del tuo lavoro e soprattutto la sua ricezione… Però gli dà anche un ruolo “pedagogico” ancora più forte…

«Ho capito che l’uscita del libro in questo momento sarebbe stata molto difficile, ma c’è un senso nelle vicende che io racconto. Essenzialmente, si tratta di un rapporto di complicità tra il comandante tedesco e il medico ebreo, entrambi cercano di salvare più persone possibili, senza farsi scoprire, con vicende anche abbastanza allucinanti. Il senso generale di questa storia è che viene valorizzato il rapporto umano, non si ragiona mai per schieramenti, per destini precostituiti: dall’incontro di questi due uomini, ognuno scopre nell’altro la persona e la vera umanità. Adesso invece si tende molto a schierarsi, a polarizzarsi con una drammatica semplificazione. Penso alla signora Raweh, che si avvicina alla novantina e deve rifugiarsi nel bunker della vicina perché casa sua non è attrezzata, mi ha detto che ne ha abbastanza di tutto questo… non dimentichiamo la responsabilità enorme e plurisecolare dell’Europa su questo stato di cose: se si è dovuto rimediare una patria per gli ebrei è perché qui in Europa, da est a ovest, non hanno potuto vivere come sarebbe stato loro diritto».

 

Un aspetto interessante della storia è l’avere tante sfumature: non è tutto bianco o nero. Bene e male, buoni e cattivi non sono separati nettamente. Gli esseri umani sono rappresentati con le loro debolezze, ambiguità, ci sono figure che rendono il contesto ulteriormente complesso, come le polizie rumena e russa, in un panorama che di solito ci immaginiamo in modo schematico, tedeschi-nazisti da una parte, e ebrei perseguitati dall’altra.

In tutto questo, non hai operato censure, ci sono anche (volute dalle autrici) frasi e comportamenti “taglienti”, come quando il comandante Grube dà degli stupidi e dei codardi agli ebrei perché non scappano, o i contrasti tra i genitori di Susanne, che però rendono il racconto ancora più reale e quindi il messaggio più potente.

«Per me è stata una scoperta e una forma di educazione… La famiglia del dottor Siperstein è una famiglia “normale”, litigano in continuazione, c’è lo sbandamento dei tedeschi, gente che cerca di nascondere quanto ha fatto e di assumere un’altra identità per salvarsi; per tutti è una costante lotta per l’esistenza e ogni personaggio ha zone d’ombra, anche la piccola Suzie…».

 

Zwei Menschen. Il ponte, Voglino Editrice, Torino 2024; pp. 96; 20 euro

Un racconto di Susanne Ruth Raweh e Isabel Grube

Disegnato da Max Cambellotti