Il passato, la storia, il presente
Un convegno ha posto il tema di come consideriamo il grande patrimonio della storia valdese, dall’epoca medievale all’adesione alla Riforma, fino ai giorni nostri
«Che senso ha parlare oggi di un’eresia di 850 anni fa?»: questa è la domanda che fa da titolo al seminario organizzato, sabato 30 novembre, dalla Facoltà valdese di Teologia e dal Centro culturale protestante di Torino presso la sala incontri della torinese Libreria Claudiana. La domanda è tanto suggestiva quanto complessa. Essa coinvolge in modo diretto e problematico i rapporti tra il “movimento valdese”, che viene fatto nascere a Lione nel 1174, e la Chiesa evangelica valdese, costituitasi «all’epoca della Riforma protestante del Sedicesimo secolo».
Qualora si creda nella continuità secolare, ovviamente con tutti gli “inevitabili” cambiamenti avvenuti nel corso di «850 anni», l’iniziale interrogativo del seminario, comporta una risposta affermativa. Il progetto delle celebrazioni quale si legge in «Valdesinmovimento» non lascia trapelare dubbi: «Divenuta Chiesa evangelica valdese all’epoca della Riforma protestante del Sedicesimo secolo, nonostante persecuzioni prima e pregiudizi poi, ha continuato a sostenere i principi ispiratori delle origini pur nei profondi mutamenti dell’età moderna». I principi ispiratori del “movimento valdese” medievale sarebbero (con espressioni di sapore “riformato”) «la necessità del rinnovamento spirituale del cristianesimo mediante l’accesso diretto alla Scrittura, la libera predicazione dell’evangelo, la povertà delle chiesa e la sua separazione dal potere politico, il superamento della barriera chierici e laici».
Se invece non si crede a tale continuità, le questioni si moltiplicano e le certezze vacillano, costringendo a riconsiderare in modo rigoroso e critico i “principi” appena enunciati. Occorrerebbe, prima di tutto, abbandonare una visione unitaria e coerente dello stesso “movimento valdese” (e chiedersi persino se questa espressione sia fondatamente adeguata). Ciò emerge, anche se in diversa misura e non sempre con chiarezza, dalle recenti sintesi sulla storia dei “valdesi medievali” curate l’una da Marina Benedetti e Euan Cameron (A Companion to the Waldenses in the Middle Ages, Leiden, Brill, 2022) e l’altra da Francesca Tasca (Storia dei valdesi, 1: Come nuovi apostoli. Secc. XII-XV, Torino, Claudiana, 2024).
D’altra parte, la mostra davvero innovativa, curata da Marco Fratini e Samuele Tourn Boncoeur, su «Valdo e i valdesi tra storia e mito» ha messo in evidenza come “sfuggente” sia la “figura di Valdo di Lione” e come essa sia stata «soggetta all’oblio o a interpretazioni strumentali nel corso dei secoli» (e lo sia ancora). Altrettanto sfuggenti e soggette all’oblio o a interpretazioni strumentali sono le successive vicende di quanti la cultura chiericale e gli inquisitori medievali via via definirono valdesi, perseguitandoli.
Allora occorre, tra l’altro, provvedere affinché il passato non venga dimenticato (né strumentalizzato) e possa, attraverso una non semplice operazione culturale, diventare storia. Così si ripresenta la domanda “Che senso ha parlare oggi di un’eresia di 850 anni fa?”: una domanda che si dovrebbe estendere e riproporre, in generale, a ogni momento e aspetto del passato umano (“valdese” e non), riproposto “razionalmente” nella forma che noi chiamiamo storia. Momenti e aspetti vanno studiati e conosciuti per quanto di essi trasmettono fonti e documenti e riusciamo a capire. Tutto ciò, ovviamente, non risolve la questione circa il “senso di parlare oggi” del passato remoto e prossimo.
Tuttavia proporre l’interrogativo (più che legittimo e opportuno) è un già un passo iniziale di assoluta importanza. Ma prima del passo circa il senso, occorre conoscere il passato, in quanto elemento costitutivo di ogni individuo, della vita collettiva e del presente. Poi ci occuperemo del senso. Le strade possibili sono molte, una delle quali (proposta in specifico ai valdesi di oggi, ma per larga parte valida non solo per loro) è stata tracciata, in rigorosa prospettiva teologica, da Sergio Rostagno sul numero 46/2024 di Riforma: «prendere sul serio la storia del mondo e non lasciarla nelle mani del caso o dei più avvezzi a raccontare vane pseudo-conoscenze»; «la storia è eredità, è vocazione, se si vuole, ma di per sé è e rimane storia».
Grado Giovanni Merlo è docente emerito di Storia medievale e di Storia del Cristianesimo presso diverse Università. Autore di vari libri per l’editrice Claudiana, è presidente della Società internazionale di studi francescani