Era un girone dantesco

Cosa c’è nell’indagine per le torture sui detenuti del carcere di Trapani

 

Tutto avveniva dietro i cancelli del «reparto blu». È lì che sarebbero stati commessi torture e abusi ai danni dei detenuti. Non siamo in un paese straniero, in un carcere egiziano, e dove sotto tortura fu ucciso Giulio Regeni, siamo nella casa circondariale «Pietro Cerulli» di Trapani.

 

Quel carcere dove all’ingresso è posta una targa a ricordo di un poliziotto, Giuseppe Montalto, ucciso il 23 dicembre 1995 dai mafiosi che lo ammazzarono come regalo di Natale ai boss detenuti al 41 bis.

 

L’esempio di quel poliziotto è finito calpestato e vilipeso.

 

È di ieri la notizia del blitz del nucleo di Polizia Penitenziaria che ha visto finire ai domiciliari su ordine del gip del Tribunale di Trapani, giudice Giancarlo Caruso, undici agenti in servizio nel carcere, per altri ventiquattro è scattata la misura cautelare della sospensione dal servizio, ma di indagati ce ne sono almeno altri dieci.

 

In conferenza stampa il Procuratore della Repubblica di Trapani Gabriele Paci ha espressamente indicato il «reparto blu» come una sorta di «“lager”, un girone dantesco, una zona franca – ha detto il procuratore che ha coordinato le indagini con i pm Sara Morri e Francesca Urbani – dove tutto quello che di peggio si poteva fare veniva fatto».

 

Reparto chiuso meno di un anno fa per le sue condizioni strutturali e igienico sanitarie risultati incompatibili con la detenzione.

 

In quel luogo a star male erano detenuti e agenti. Ma questi ultimi, hanno sfogato il malcontento con istinti bestiali.

 

A pagarne le conseguenze i detenuti, tutti soggetti fragili.

 

«L’indagine – ha confermato il procuratore – è stata avviata nel 2021 ed è proseguita sino al 2023, le sevizie e le torture sono emerse chiaramente grazie a video camere collocate negli spazi occupati dai detenuti».

 

Vittime, una ventina di detenuti. E a questo punto i particolari forniti dal procuratore Paci sono stati davvero pesanti.

 

«I detenuti che hanno subito ogni genere di abusi erano sia italiani che stranieri quasi tutti detenuti fragili, per le loro condizioni psicofisiche, psichiatriche, persone vulnerabili. […]

 

 

«Quello – ha spiegato il procuratore Paci – era un reparto a differenza di tutti gli altri, sprovvisto di video camere. Gli agenti erano certi di non essere visti; ignoravano però che per l’indagine in corso, erano state collocate microspie capaci di riprendere quello che accadeva nei corridoi e nelle celle nonché negli angusti spazi di comunità».

 

 

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